28 marzo 2011

Vita e Caso

Guardo alle volte i programmi di Sky dedicati all’Universo e alla ricerca della vita in altri pianeti; sono programmi che vorrebbero fare opera di divulgazione scientifica.  Però quello che mi sorprende, anche se a pensarci bene non più di tanto, è che diano per scontato il fatto che la vita si sia formata per caso e che possa esistere in condizioni ambientali molto estreme.
Che la vita si sia potuta formare per caso è una ipotesi che a tutt’oggi non è stata ancora dimostrata e anzi la ragione stessa, se si considerano i valori di probabilità in gioco, è più portata a rifiutarla che ad accettarla. Eppure in tutti questi programmi la fanno passare come  una certezza, illudendo così il telespettatore...

In realtà quello della nascita della vita anche nelle sue forme ‘elementari’ è un problema non risolto, è un mistero (almeno per chi troppo in fretta si è sbarazzato dell’idea di un Creatore). E questo problema non spiegato è uno dei punti critici della teoria evoluzionistica, un enigma su cui tuttora gli studiosi in buona fede  e sostenitori di tale teoria si trovano in grande difficoltà. Infatti anche la forma più ‘semplice’ dotata di vita è un organismo organizzato in maniera stupefacente, di complessità sbalorditiva (1).

Così come un computer che essendo un insieme complesso  di parti ‘fisiche’ (l'hardware) non può funzionare se non è stata stabilita una comunicazione sincronizzata e coerente tra le diverse sue componenti e inoltre non è stato scritto da un programmatore un codice o programma (software) che dica alle diverse parti cosa debbono fare per ottenere un qualcosa che abbia un senso, e che quindi assegni all’attività del computer uno scopo, anche un organismo vivente non può essere pensato solo come un insieme di parti più piccole collegate tra loro, ma queste parti debbono cooperare ed inoltre deve esistere al suo interno un codice o ‘programma’ che dica quale è lo scopo per cui operano e che le diriga appunto verso quello scopo. Allora siamo a questo punto dell’analogia, se volete: supporre la nascita e lo sviluppo casuale della vita è come ipotizzare che si sia formato in un momento della storia della nostra terra o anche dell’universo e solo a causa di urti casuali, non solamente un computer con tutte le parti funzionanti (l’hardware) ma anche il programma che lo fa funzionare (il software). Ed è su quest’ultimo requisito che voglio focalizzare la mia attenzione: come fa a crearsi da solo un ‘programma’ che dia senso o scopo? Come fa a nascere dal caos e dal caso qualcosa che non è fatto di materia, ma di informazione pura con un' evidente finalità, come quella di far vivere, prosperare e riprodurre l’organismo vivente stesso?

Le difficoltà aumentano fra l’altro se si considera che per quanto ‘semplice’ si possa immaginare un organismo vivente, esso ha delle parti che non possono essere eliminate e che non si può quindi supporre che siano spuntate dopo altre: è il problema della complessità irriducibile. Parti che cooperano tra loro si deve supporre che siano nate contemporaneamente, non in sequenza, e questo complica ancor più le cose a livello di probabilità casuale (2).

Come ho già detto in un precedente post, un altro indizio della complessità anche del più semplice essere vivente è che nonostante il possesso di una tecnologia avanzata come quella attuale, nessuno (non credete agli inganni e agli scoop giornalistici, e affermo questo senza tema di smentita alcuna),  dicesi nessuno, è riuscito a costruire in laboratorio un essere vivente per quanto semplice, a partire da parti non appartenenti di già ad un altro essere vivente.

E allora, almeno di non ammettere una super - legge naturale che dica in sostanza che nella materia stessa c’è una specie di scopo e che quindi essa tende ad organizzarsi per generare alla fine organismi viventi (questo viene detto ‘finalismo’ ma viene rifiutato dalle teorie evoluzionistiche),  intestardirsi a dire che tutto è nato dal semplice caso assomiglia di più ad un inganno inaccettabile per la ragione umana che a una legge scientifica.

Quindi la prossima volta che vi dicono che la vita è nata per caso, state attenti perchè vi stanno rifilando solo una mera ipotesi ( per giunta molto poco probabile, spesso cose del genere nel linguaggio popolare si dicono ‘bufale’) anche se la fanno passare per certezza  scientifica. Sarebbe molto più corretto che dicessero: 'guardate non sappiamo come sia nata la vita, ma alcuni scienziati fanno l'ipotesi che sia avvvenuta per un caso fortunato, anche se a ben vedere per le probabilità in gioco è da ritenere che la possibilità che  sia successo veramente così è praticamente zero'. E invece no, tacciono sapendo di tacere, spacciano per certo quello che non lo è, quindi  sono in mala fede.

Tutto questo perché avendo postulato la non necessità di un Creatore, e non volendo abbandonare tale assioma, pur di sostenerlo si arrampicano anche sugli specchi, come in questo frangente, in cui  ‘spiegano’ la comparsa di quel fenomeno meraviglioso e di complessità sbalorditiva che è la vita come una generazione fortuita dovuta al Dio 'Caso'.



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Note

(1) 'La scoperta degli archeobatteri ha nutrito speculazioni secondo cui questi microrganismi sarebbero dei buoni modelli dei primi sistemi viventi, prodottisi a suo tempo dalla chimica prebiotica e simili a cellule. In realtà analisi più approfondite di tali organismi hanno dimostrato dei sistemi di metabolismo affascinanti e in parte non ancora compresi, comunque tutt’altro che ‘primitivi’: gli archeobatteri sono dei veri e propri ‘artisti del metabolismo’. Venter e i suoi collaboratori hanno pubblicato nel 1995 la sequenza DNA del genoma di Mycoplasma genitalium, un batterio che vive come parassita e che è considerato l’organismo con il genoma più ridotto in grado di autoreplicarsi. Facendo un semplice elenco dei geni che codificano per le proteine necessarie alla replicazione (32 geni), trascrizione (12 geni) e traduzione (101) e altre funzioni (325 geni) si ha una idea della enorme complessità necessaria perché possano replicarsi anche gli organismi più semplici come un archeobatterio. Fra l’altro non sono conosciuti degli organismi viventi meno complessi di questo archeobatterio'. (Reinhard Junker – Siegfried Scherer  - Evoluzione, un trattato critico- Edizioni Gribaudi, pag.111).

(2) un esempio può essere la formazione di un motore per i batteri primitivi che ne sono dotati.
'Quale potrebbe essere stato un presumibile processo evolutivo in grado di produrre un motore? Non ci sono dubbi che una struttura come il motore rotativo dei batteri non sia potuto nascere con un solo evento di macroevoluzione…. Un primitivo motore ha bisogno come minimo di questi cinque elementi base: un filamento, un elemento angolare, un’asse di rotazione, almeno un cuscinetto e una proteina motore. Se manca uno di tali elementi di base, la struttura formata non potrà svolgere nessuna funzione del motore. Esso è irriducibilmente complesso….
Si è calcolato che per un vantaggio selettivo perché tale motore semplice possa essere formato sono necessarie almeno 16 proteine, e che per la trasformazione di  16 proteine ‘preadattate’ sono necessarie 160 mutazioni...'
(I calcoli sulle probabilità di queste mutazioni 'casuali' in contemporanea - nota mia-) '...dimostrano che la ristrutturazione di proteine motore preadattate, tramite l’avvenimento casuale di tutte le mutazioni necessarie in un determinato momento in una cellula, avviene con una probabilità talmente bassa, da non essere plausibile neppure nel corso delle ere geologiche'.  (Reinhard Junker – Siegfried Scherer- op.cit. pag 162).
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1 commento:

  1. Il fatto è che non c'è maggiore sordo di chi non vuol sentire...
    Alessandro

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