25 aprile 2011

il Gigaro e la 'macroevoluzione'.

Come ho detto in altri post, e mi ripropongo di mostrarlo più volte riprendendo il discorso anche in futuro, non esiste nessuna prova convincente che convalidi la cosiddetta ‘macroevoluzione’, il meccanismo evolutivo sostenuto dal neo-darwinismo.

Ricordo che per ‘macroevoluzione’ si intende la nascita di nuove specie (tecnicamente ‘tipi base’) da altre completamente differenti, a causa della comparsa di organi e funzioni in precedenza inesistenti, e tutto dovuto a mutazioni genetiche casuali e alla selezione naturale ( nel caso che queste mutazioni rappresentino un  ‘vantaggio selettivo’).





In realtà l’unico meccanismo evolutivo  provato  è quello della ‘microevoluzione’, cioè quello del formarsi di forme differenti provenienti dallo stesso ‘tipo base’, ma che rimangono nell’ambito della stessa specie (un esempio lo sono le varie razze di cani o di fringuellidi). Non si è mai osservata o provata la nascita di un nuovo ‘tipo base’ da uno differente, neanche nei fossili (il cosiddetto problema degli anelli mancanti fa parte del dilemma). Fra l'altro 'tipi base' differenti non possono incrociarsi tra loro (per definizione).

Essenziale per la teoria dell’evoluzione che postula  la 'macroevoluzione' è  che  nuove funzioni si possano sviluppare per gradi a causa di mutazioni genetiche casuali e che quindi 'per caso' possano nascere nuovi 'tipi base' dotati di nuovi organi e funzioni. Il problema è che la selezione conserva solo gli individui che con la nuova mutazione presentano un vantaggio selettivo e elimina quelli che sviluppano funzioni ‘inutili’. Quindi l’evoluzione non può permettersi il lusso di inventare una funzione che ha senso solo se nascerà ‘casualmente’ in un futuro lontano un’altra funzione ad essa logicamente collegata e che la completi: siccome non è assolutamente previsto infatti un progetto, una funzione che nasca in previsione di un’altra successiva che la completi ‘utilmente’ in un futuro indefinito semplicemente non è possibile che compaia. E allora quando vediamo in un essere vivente delle funzioni che procedono in sequenza e che si completano temporalmente,  dobbiamo supporre che queste siano spuntate contemporaneamente e non una dopo l’altra. Ma questo fatto cozza inevitabilmente con i numeri della probabilità: è praticamente impossibile infatti che spuntino casualmente e contemporaneamente molteplici funzioni che formano un progetto complesso, di una complessità irriducibile, cioè funzioni che compongono un ‘disegno’ con uno scopo, in cui ognuna di esse è essenziale, non eliminabile, e collegata in maniera logica con le funzioni successive a cui ‘prepara’ la strada.

Un esempio  di strutture e funzioni che si completano a vicenda per formare un 'progetto' complesso sono quelle  colllegate alla riproduzione dell’infiorescenza Aurum italicum, detta comunemente Gigaro.




  
La prima figura mostra l’infiorescenza che è avvolta da un’ampia brattea (modificata in spata nella parte inferiore). Dalla parte superiore della brattea semiaperta sporge l’estremità a forma di clava, detta spadice, mentre la sua parte inferiore, la spata, rimane chiusa: esiste però un’entrata, che si nota nella seconda figura (la brattea è stata aperta per osservarne l’interno): fra lo spadice e la spata si trova una stretta apertura  a collo di bottiglia resa però più angusta da formazioni setolose rivolte verso il basso che permettono l’entrata ma non l’uscita.
Si distinguono, dall'alto verso il basso, i fiori maschili (rossi) ancora chiusi e più giù i fiori femminili (bianchi), quelli che verranno ‘impollinati’ dagli insetti ospitati.

Ecco come  Reinhard Junker e Siegfried Scherer descrivono la situazione:
“Verso sera, l’estremità dello spadice emana un odore che attira moscerini e insetti notturni; il colore chiaro della brattea contribuisce anch’esso ad attirare gli insetti. La combustione di amido nello spadice provoca una forte emissione di calore, così il profumo del fiore può essere diffuso in maniera più efficace. E in basso il calore si accumula in modo da riscaldare l’interno della spata.
Gli insetti che, attirati dall’odore, atterrano sulla parte interna della brattea, scivolano in basso essendo la superficie resa viscida da innumerevoli goccioline d’olio.
Grazie al calore gli insetti che cadono nell’interno diventano più attivi, depositano il polline (che portano già su di sé) sugli stigmi dei fiori (bianchi) femminili e ricevono in premio il nettare: si tratta di una specie di ristorante. Dopo alcune ore si aprono le teche polliniche dei fiori (rossi) maschili, ricoprendo di nuovo polline gli insetti, che lo trasporteranno al prossimo fiore visitato. Dato che con l’aprirsi delle teche polliniche le formazioni setolose che bloccavano l’uscita cominciano ad avvizzire, la via d’uscita per gli insetti risulta di nuovo libera. Ci troviamo così di fronte a strutture adattate le une alle altre e ad un perfetto tempismo, senza il quale tutta la struttura sarebbe inutile per la pianta”.(1)

Ecco quindi un elenco dei caratteri strutturali e funzionali esistenti:

Caratteri strutturali

1) collo di bottiglia
2) goccioline di olio
3) profumo
4) formazioni setolose
5) fiori maschili
6) fiori femminili
7) ‘ristorante’ riscaldato

caratteri funzionali

1) emissione odore
2) riscaldamento
3) facilitazione entrata (olio)
4) chiusura uscita (setole)
5) nutrimento (nettare) con riscaldamento
6) ricevimento polline (fiori femminili)
7) rilascio polline (fiori maschili)
8) facilitazione uscita (avvizzimento setole)
9) tempismo

“Le caratteristiche e le facoltà elencate indicano quali caratteri strutturali e funzionali sono indispensabili al funzionamento di questi ristoranti vegetali: nessuna di tali caratteristiche può essere considerata opzionale.
Quale potrebbe essere stato un primo evento mutazionale con un valore selettivo positivo? Solo una mutante avvantaggiata nella selezione avrebbe avuto la possibilità di diffondersi. Ma bisogna tenere presente che le mutazioni (che hanno luogo in individui diversi, o in geni e tempi diversi) sono del tutto arbitrarie e che non si trovano, fra loro, in alcun rapporto causale dimostrabile. Un adattamento reciproco di più mutazioni è un evento molto raro, dato che nel processo evolutivo non esiste una finalità comprovata. In pratica non esiste un ‘prepararsi’  ad una mutazione successiva.  Le forma intermedie, infine, non devono mai produrre uno svantaggio selettivo, perché altrimenti verrebbero eliminate dalla selezione.
Teoricamente (come primo evento mutazionale) si potrebbe usare ognuno dei vari elementi dell’affascinante struttura descritta, ma a parte il profumo, se considerati singolarmente essi non presentano alcun vantaggio selettivo pratico. Un vantaggio selettivo è dato solo nello stadio finale del processo; gli stadi intermedi ‘incompleti’ sono biologicamente inutili e sarebbero stati eliminati dalla selezione stabilizzatrice. La selezione quindi non solo non può spiegare lo sviluppo della struttura in questione, ma l’avrebbe addirittura inibito”. (2)

E per concludere, nel constatare la meraviglia di questo semplice ‘fiore di campo’ dalla forma di  un piccolo giglio che mette in seria difficoltà i meccanismi ipotizzati che dovrebbero portare all'evoluzione, mi è venuto in mente il seguente versetto del Vangelo (Matteo 6, 28-30):

Osservate come crescono i gigli del campo: non lavorano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. Ora se Dio veste così l'erba del campo, che oggi c'è e domani verrà gettata nel forno, non farà assai più per voi, gente di poca fede?

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Note

(1) Reinhard Junker – Siegfried Scherer – Evoluzione, certezza dei fatti e diversità delle interpretazioni – Edizioni Gribaudi (2007) – pag. 79.

(2) op. cit. pag. 80


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1 commento:

  1. personalmente credo che, in fatto di complessità irriducibile e da un punto di vista puramente ingegneristico, il motore elettrico (...) che fa ruoteare il flagello (leggi elica) del batterio escherichia coli le batte tutte.

    Congratulazioni per il sito

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