Il Miracolo di Calanda, ovvero la gamba riattaccata
"Nessun credente avrebbe l’ingenuità di sollecitare l’intervento divino perché rispunti una gamba tagliata. Un miracolo del genere, che pur sarebbe decisivo, non è mai stato constatato. E possiamo prevederlo, non lo sarà mai" (Fèlix Michaud – razionalista incredulo)
‘Consultando il catalogo delle cosiddette guarigioni miracolose, non si è mai constatato che la fede abbia fatto rispuntare un arto tagliato’ (Jean Martin Charcot – neurologo positivista)
‘ (riferendosi agli ex-voto)…Vedo molti bastoni, molte stampelle, non vedo però alcuna gamba di legno’ (Emile Zola – romanziere positivista)
‘Consultando il catalogo delle cosiddette guarigioni miracolose, non si è mai constatato che la fede abbia fatto rispuntare un arto tagliato’ (Jean Martin Charcot – neurologo positivista)
‘ (riferendosi agli ex-voto)…Vedo molti bastoni, molte stampelle, non vedo però alcuna gamba di legno’ (Emile Zola – romanziere positivista)
Premessa
Questi uomini illustri e colti dell’800, molto scettici sulla religione, in realtà non erano a conoscenza di quello che è stato chiamato ‘Il Miracolo’, cioè il miracolo per eccellenza, quello appunto in cui è rispuntata una gamba tagliata, miracolo che qualunque positivista dichiarava che se fosse accaduto sarebbe stato ‘decisivo’ per poter ammettere il soprannaturale.
Qui c’è da fare però una premessa. Su quali basi poggerà la prova che il miracolo sia effettivamente avvenuto? Risposta: Sulle testimonianze e i processi verbali redatti da un notaio e dal Tribunale dell’Inquisizione spagnola.
Se voi non credete quindi sul valore probante delle (numerose) testimonianze umane e sulla serietà del Tribunale di Inquisizione di Spagna del ‘600, saltate post, non fa per voi….
(In quello che scrivo in seguito ho usato molti spunti presi dal mirabile libro di Vittorio Messori – Il Miracolo – Ed. Rizzoli 1998, a cui rimando il lettore particolarmente interessato)
L’antefatto
Miguel Juan Pellicer nasce nel 25 marzo 1617. Fu per tutta la vita un analfabeta, l’unica istruzione era il catechismo. Questa aveva radicato in lui una fede semplice ma granitica, oltre che una devozione intensa verso la madonna del Pilar, molto amata in Spagna..
Un giorno nel luglio 1637 guidando un carro trainato da due muli cadde, e una delle due ruote del carro gli passò sulla gamba destra fratturandogli la tibia nella parte centrale. Accolto dall’ Hospital Real di Valencia, vi resta 5 giorni (tutto documentato dai registri dell’ospedale) durante i quali gli furono applicati vari rimedi, che non fecero effetto. Viene quindi trasferito nell’ Hospital Real di Saragozza dopo un penosissimo viaggio di 50 giorni, dove arriva nell’ottobre 1637. Qui i medici stabiliscono che data la cancrena avanzata il solo modo di salvargli la vita è quello di amputargli la gamba. Testimoniando in seguito davanti ai giudici, quei sanitari la definirono ‘in stato avanzato di cancrena e di colore nero’. Il consulto è presieduto dal primario del reparto chirurgia e docente dell’Università di Saragozza, prof Juan De Estaga. Nella metà di ottobre lo stesso De Estaga e il collega Millaruelo, che saranno convocati poi come testi, praticano l’amputazione, tagliando la gamba destra 4 dita sotto il ginocchio. I chirurghi sono assistiti dal giovane praticante Garcia, il quale aiutato da un collega, raccoglie e seppellisce la gamba nel cimitero dell’ospedale, in un settore apposito. Il Garcia ovviamente deporrà al processo: testimonierà che il pezzo di gamba fu da lui sepolto orizzontalmente in una buca profonda un palmo. E’ quella stessa buca che, quasi due anni e mezzo dopo, verrà trovata vuota.
Dopo aver passato all’ospedale l’autunno e l’inverno, nella primavera del 1638 è dimesso. L’amministrazione lo provvede di gamba di legno e stampella.
Per sopravvivere non gli resta che farsi mendicante e chiedere l’elemosina davanti al santuario del Pilar di Saragozza. Gli è rilasciato un regolare permesso così che i documenti lo chiameranno ‘mendicante in pianta stabile’. La mutilazione del giovane è ancora più evidente a tutti perché – secondo l’uso – egli tiene scoperta la piaga. Quotidianamente ottiene un poco d’olio, preso da una delle lampade che ardono davanti alla statua della Vergine, per ungersi il moncone. Per questo viene redarguito dal professor de Estanga dal quale ritorna periodicamente per una medicazione e un controllo. Il giovane mostrando di confidare nella ‘sua’ Madonna più che nelle norme sanitarie, continua a servirsi dell’olio. La notte si rifugia nell’osteria ‘de las Tablas’ gestita da Juan de Mazas (che sarà convocato al processo, per riconoscere il cliente che tante volte aveva ospitato con una gamba sola e che ora rivedeva con due). Dopo circa due anni, Miguel decide di tornare a Calanda, dai suoi genitori. Miguel per vivere elemosinerà nei villaggi vicini, sempre con il moncone in vista. Era provvisto di una regolare autorizzazione che spiegava i motivi dell’invalidità, rilasciata dal comune d’origine. In questo modo, senza saperlo, moltiplicava i testimoni che diranno di averlo visto in quello stato.
Il miracolo
La notte del 29 marzo1640 dopo la parca cena va a dormire in un giaciglio per terra nella camera dei genitori. Verso le undici di sera, la madre entra nella camera e sente come un profumo paradisiaco. Alza la lampada e si avvicina per vedere come si era sistemato il figlio. Costata che sta dormendo profondamente ma vede anche che fuori dal mantello usato come coperta escono due gambe e non una! Chiama il marito e sbalorditi e attoniti di fronte ad una scoperta tanto straordinaria i genitori scuotono il figlio, il quale ci mette un bel po’ a svegliarsi come fosse in letargo dopo una anestesia profonda. Stupefatto non sa spiegare come sia potuto succedere, dice solamente che stava sognando di ungersi il moncone con l’olio delle lampade della Vergine del Pilar. Il giovane comincia a maneggiare la gamba ed esaminando l’arto scopre subito i segni inconfondibili che stavano in quello amputato: la cicatrice provocata dalla ruota del carro, un’altra cicatrice dovuta all’asportazione di una cisti quando era ragazzo, le tracce di un morso di un cane nel polpaccio. Al processo i testimoni saranno in grado di ricordare quelle tracce sulla gamba prima che fosse tagliata. Quindi vi è la certezza che la gamba era quella amputata tre anni prima e che era stata seppellita. Si fecero ovviamente dei controlli nel cimitero dell’ospedale, trovando la buca vuota. Quindi non vi era stata creazione di una nuova gamba, ma la riattaccatura di quella amputata. Anche se doveva esserci stata necessariamente creazione per quanto riguarda muscoli, nervi, pelle tessuti, vasi sanguigni distrutti durante l’amputazione e nella susseguente devastante cauterizzazione. Comunque occorsero tre giorni prima che progressivamente l’arto ‘riattaccato’ riprendesse il suo colore naturale e le sue funzioni. Inoltre, fatto notevole, era anche più corto di alcuni centimetri rispetto all’altro (infatti l’altro arto era nel frattempo cresciuto perché al momento dell’amputazione il giovane non aveva ancora completato lo sviluppo), ma dopo qualche mese, l’arto si rimise in pari con l’altro crescendo (nota = questi e altri sintomi dei 'postumi' che si possono leggere nei documenti del processo danno un ulteriore patente di credibilità al fatto in quanto del tutto simili ai sintomi che si registrano al giorno d'oggi nell'evoluzione clinica seguente il reimpianto di arti). Restò costante invece un circolo rosso dove il pezzo di gamba si era unito all’altro: quasi un marchio indelebile del prodigio.
Il Processo
Del fatto, quasi subito, fu redatto verbale da un notaio del regno registrando anche le dichiarazioni di molti testimoni. Successivamente il Tribunale dell’Inquisizione, ben attento a sventare ogni possibile truffa nel campo della fede, imbastì un vero e proprio processo canonico ascoltando decine e decine di testimoni (saranno 102 in totale) e vagliando la veridicità del fatto. Il processo fu esemplare e se si studiano i documenti prodotti, fu svolto in maniera inattaccabile dal punto di vista giuridico e scientifico, tanto che uno degli studiosi del fatto ha constatato che ‘chi volesse mettere in dubbio la saldissima inserzione di questo processo nell’Aragona e nella Spagna della prima metà del Seicento dovrebbe, per coerenza, negare attendibilità a ogni altro evento della storia, anche il meglio attestato’.
La conclusione.
Il 27 aprile 1641, l’arcivescovo così concludeva l’indagine rigorosa del tribunale d’Inquisizione: ‘Perciò, considerate tutte queste e altre cose… affermiamo, pronunciamo e dichiaramo che a Miguel Juan Pellicér, nativo di Calanda, di cui si è trattato in questo processo, fu restituita miracolosamente la gamba destra che in precedenza gli era stata amputata; e che non è stato un fatto operato dalla natura, ma opera mirabile e miracolosa; e che si deve giudicare e tenere per miracolo, concorrendo tutte le condizioni richieste dal Diritto perché si possa parlare di vero prodigio.’
La cosa si riseppe in tutta la Spagna di allora e venne considerata talmente vera e degna di fede che lo stesso re di Spagna Filippo IV, nell’autunno del 1641 ricevette il miracolato alla presenza della corte e del Corpo Diplomatico e dopo il racconto del Pellicér, si inginocchiò a baciare la gamba restituita.
Epilogo
Ho fatto un piccolo giro su internet e ho visto le considerazioni di un ortopedico esperto in reimpianti di arti (http://www.giot.it/Articoli/2000/vol3-00/122art.pdf) che ha studiato la documentazione del miracolo trovandolo credibile: ha trovato tutti i sintomi e postumi da reimpianto che si verificano in arti reimpiantati. Infatti dice: ‘Dai documenti riportanti le testimonianze sull’aspetto della gamba reimpiantata e sull’evoluzione clinica, si nota un parallelismo con la clinica che si obiettivizza, oggi, nei reimpianti di arto’ . Ed ecco la sua conclusione:
‘Per concludere: se quel reimpianto fosse stato compiuto nel tempo attuale da chirurghi specialisti, probabilmente, verrebbe riportato sui giornali locali come fatto di cronaca e non susciterebbe tanto clamore, ma essendosi verificato 360 anni fa, in quel contesto, stupisce e quanto stupisce!’
Questi uomini illustri e colti dell’800, molto scettici sulla religione, in realtà non erano a conoscenza di quello che è stato chiamato ‘Il Miracolo’, cioè il miracolo per eccellenza, quello appunto in cui è rispuntata una gamba tagliata, miracolo che qualunque positivista dichiarava che se fosse accaduto sarebbe stato ‘decisivo’ per poter ammettere il soprannaturale.
Qui c’è da fare però una premessa. Su quali basi poggerà la prova che il miracolo sia effettivamente avvenuto? Risposta: Sulle testimonianze e i processi verbali redatti da un notaio e dal Tribunale dell’Inquisizione spagnola.
Se voi non credete quindi sul valore probante delle (numerose) testimonianze umane e sulla serietà del Tribunale di Inquisizione di Spagna del ‘600, saltate post, non fa per voi….
(In quello che scrivo in seguito ho usato molti spunti presi dal mirabile libro di Vittorio Messori – Il Miracolo – Ed. Rizzoli 1998, a cui rimando il lettore particolarmente interessato)
L’antefatto
Miguel Juan Pellicer nasce nel 25 marzo 1617. Fu per tutta la vita un analfabeta, l’unica istruzione era il catechismo. Questa aveva radicato in lui una fede semplice ma granitica, oltre che una devozione intensa verso la madonna del Pilar, molto amata in Spagna..
Un giorno nel luglio 1637 guidando un carro trainato da due muli cadde, e una delle due ruote del carro gli passò sulla gamba destra fratturandogli la tibia nella parte centrale. Accolto dall’ Hospital Real di Valencia, vi resta 5 giorni (tutto documentato dai registri dell’ospedale) durante i quali gli furono applicati vari rimedi, che non fecero effetto. Viene quindi trasferito nell’ Hospital Real di Saragozza dopo un penosissimo viaggio di 50 giorni, dove arriva nell’ottobre 1637. Qui i medici stabiliscono che data la cancrena avanzata il solo modo di salvargli la vita è quello di amputargli la gamba. Testimoniando in seguito davanti ai giudici, quei sanitari la definirono ‘in stato avanzato di cancrena e di colore nero’. Il consulto è presieduto dal primario del reparto chirurgia e docente dell’Università di Saragozza, prof Juan De Estaga. Nella metà di ottobre lo stesso De Estaga e il collega Millaruelo, che saranno convocati poi come testi, praticano l’amputazione, tagliando la gamba destra 4 dita sotto il ginocchio. I chirurghi sono assistiti dal giovane praticante Garcia, il quale aiutato da un collega, raccoglie e seppellisce la gamba nel cimitero dell’ospedale, in un settore apposito. Il Garcia ovviamente deporrà al processo: testimonierà che il pezzo di gamba fu da lui sepolto orizzontalmente in una buca profonda un palmo. E’ quella stessa buca che, quasi due anni e mezzo dopo, verrà trovata vuota.
Dopo aver passato all’ospedale l’autunno e l’inverno, nella primavera del 1638 è dimesso. L’amministrazione lo provvede di gamba di legno e stampella.
Per sopravvivere non gli resta che farsi mendicante e chiedere l’elemosina davanti al santuario del Pilar di Saragozza. Gli è rilasciato un regolare permesso così che i documenti lo chiameranno ‘mendicante in pianta stabile’. La mutilazione del giovane è ancora più evidente a tutti perché – secondo l’uso – egli tiene scoperta la piaga. Quotidianamente ottiene un poco d’olio, preso da una delle lampade che ardono davanti alla statua della Vergine, per ungersi il moncone. Per questo viene redarguito dal professor de Estanga dal quale ritorna periodicamente per una medicazione e un controllo. Il giovane mostrando di confidare nella ‘sua’ Madonna più che nelle norme sanitarie, continua a servirsi dell’olio. La notte si rifugia nell’osteria ‘de las Tablas’ gestita da Juan de Mazas (che sarà convocato al processo, per riconoscere il cliente che tante volte aveva ospitato con una gamba sola e che ora rivedeva con due). Dopo circa due anni, Miguel decide di tornare a Calanda, dai suoi genitori. Miguel per vivere elemosinerà nei villaggi vicini, sempre con il moncone in vista. Era provvisto di una regolare autorizzazione che spiegava i motivi dell’invalidità, rilasciata dal comune d’origine. In questo modo, senza saperlo, moltiplicava i testimoni che diranno di averlo visto in quello stato.
Il miracolo
La notte del 29 marzo1640 dopo la parca cena va a dormire in un giaciglio per terra nella camera dei genitori. Verso le undici di sera, la madre entra nella camera e sente come un profumo paradisiaco. Alza la lampada e si avvicina per vedere come si era sistemato il figlio. Costata che sta dormendo profondamente ma vede anche che fuori dal mantello usato come coperta escono due gambe e non una! Chiama il marito e sbalorditi e attoniti di fronte ad una scoperta tanto straordinaria i genitori scuotono il figlio, il quale ci mette un bel po’ a svegliarsi come fosse in letargo dopo una anestesia profonda. Stupefatto non sa spiegare come sia potuto succedere, dice solamente che stava sognando di ungersi il moncone con l’olio delle lampade della Vergine del Pilar. Il giovane comincia a maneggiare la gamba ed esaminando l’arto scopre subito i segni inconfondibili che stavano in quello amputato: la cicatrice provocata dalla ruota del carro, un’altra cicatrice dovuta all’asportazione di una cisti quando era ragazzo, le tracce di un morso di un cane nel polpaccio. Al processo i testimoni saranno in grado di ricordare quelle tracce sulla gamba prima che fosse tagliata. Quindi vi è la certezza che la gamba era quella amputata tre anni prima e che era stata seppellita. Si fecero ovviamente dei controlli nel cimitero dell’ospedale, trovando la buca vuota. Quindi non vi era stata creazione di una nuova gamba, ma la riattaccatura di quella amputata. Anche se doveva esserci stata necessariamente creazione per quanto riguarda muscoli, nervi, pelle tessuti, vasi sanguigni distrutti durante l’amputazione e nella susseguente devastante cauterizzazione. Comunque occorsero tre giorni prima che progressivamente l’arto ‘riattaccato’ riprendesse il suo colore naturale e le sue funzioni. Inoltre, fatto notevole, era anche più corto di alcuni centimetri rispetto all’altro (infatti l’altro arto era nel frattempo cresciuto perché al momento dell’amputazione il giovane non aveva ancora completato lo sviluppo), ma dopo qualche mese, l’arto si rimise in pari con l’altro crescendo (nota = questi e altri sintomi dei 'postumi' che si possono leggere nei documenti del processo danno un ulteriore patente di credibilità al fatto in quanto del tutto simili ai sintomi che si registrano al giorno d'oggi nell'evoluzione clinica seguente il reimpianto di arti). Restò costante invece un circolo rosso dove il pezzo di gamba si era unito all’altro: quasi un marchio indelebile del prodigio.
Il Processo
Del fatto, quasi subito, fu redatto verbale da un notaio del regno registrando anche le dichiarazioni di molti testimoni. Successivamente il Tribunale dell’Inquisizione, ben attento a sventare ogni possibile truffa nel campo della fede, imbastì un vero e proprio processo canonico ascoltando decine e decine di testimoni (saranno 102 in totale) e vagliando la veridicità del fatto. Il processo fu esemplare e se si studiano i documenti prodotti, fu svolto in maniera inattaccabile dal punto di vista giuridico e scientifico, tanto che uno degli studiosi del fatto ha constatato che ‘chi volesse mettere in dubbio la saldissima inserzione di questo processo nell’Aragona e nella Spagna della prima metà del Seicento dovrebbe, per coerenza, negare attendibilità a ogni altro evento della storia, anche il meglio attestato’.
La conclusione.
Il 27 aprile 1641, l’arcivescovo così concludeva l’indagine rigorosa del tribunale d’Inquisizione: ‘Perciò, considerate tutte queste e altre cose… affermiamo, pronunciamo e dichiaramo che a Miguel Juan Pellicér, nativo di Calanda, di cui si è trattato in questo processo, fu restituita miracolosamente la gamba destra che in precedenza gli era stata amputata; e che non è stato un fatto operato dalla natura, ma opera mirabile e miracolosa; e che si deve giudicare e tenere per miracolo, concorrendo tutte le condizioni richieste dal Diritto perché si possa parlare di vero prodigio.’
La cosa si riseppe in tutta la Spagna di allora e venne considerata talmente vera e degna di fede che lo stesso re di Spagna Filippo IV, nell’autunno del 1641 ricevette il miracolato alla presenza della corte e del Corpo Diplomatico e dopo il racconto del Pellicér, si inginocchiò a baciare la gamba restituita.
Epilogo
Ho fatto un piccolo giro su internet e ho visto le considerazioni di un ortopedico esperto in reimpianti di arti (http://www.giot.it/Articoli/2000/vol3-00/122art.pdf) che ha studiato la documentazione del miracolo trovandolo credibile: ha trovato tutti i sintomi e postumi da reimpianto che si verificano in arti reimpiantati. Infatti dice: ‘Dai documenti riportanti le testimonianze sull’aspetto della gamba reimpiantata e sull’evoluzione clinica, si nota un parallelismo con la clinica che si obiettivizza, oggi, nei reimpianti di arto’ . Ed ecco la sua conclusione:
‘Per concludere: se quel reimpianto fosse stato compiuto nel tempo attuale da chirurghi specialisti, probabilmente, verrebbe riportato sui giornali locali come fatto di cronaca e non susciterebbe tanto clamore, ma essendosi verificato 360 anni fa, in quel contesto, stupisce e quanto stupisce!’
Riguardo al miracolo della gamba di Calanda non è la prima volta che successe un evento così miracoloso.un miracolo simile è avvenuto in Italia e precisamente a Roma.
RispondiEliminaNelle storie di santi riportate da Jacopo da Varagine nella sua “Legenda Aurea” si racconta di un miracolo, tra i tanti, operati dai santi Cosma e Damiano i quali, dopo la loro morte, avrebbero fatto numerose guarigioni anche a Roma.
Uno di questi è il famoso trapianto di una gamba da un morto ad un vivente.
Papa Felice aveva fatto costruire a Roma una basilica ad essi dedicata. Il sagrestano di quella chiesa fu affetto da un male terribile ad una gamba che gli andava in cancrena. Di notte sognò che i due santi medici intervenivano per compiere un’incredibile operazione: la sostituzione dell’arto malato con un arto buono. Cosma e Damiano nottetempo si recarono nel cimitero di S. Pietro in Vincoli, non molto distante dalla chiesa loro dedicata, e, dopo aver riesumato il cadavere di un uomo nero dell’Etiopia, tagliarono la sua gamba sinistra per trapiantarla al posto di quella incancrenita del sagrestano.
Quando la mattina il sagrestano si svegliò, vedendo al sua gamba nera, raccontò il sogno ai suoi familiari. Questi corsero al cimitero di S. Pietro in Vincoli per verificare se il racconto corrispondesse al vero e trovarono l’etiope morto con la gamba bianca incancrenita prima appartenente al sagrestano.