25 gennaio 2023

Indizi di Intelligent Design? - Strumenti evolutivi innati negli esseri viventi

"La vita sembra sicuramente essere stata progettata, ma molti affermano che l'apparenza è ingannevole e che essa non è stata affatto programmata ma si è evoluta attraverso eventi essenzialmente casuali. Questa affermazione è controintuitiva e per stabilirla sono necessarie prove, buone prove: in realtà però di davvero valide non ce ne sono" (Lee Spetner).  

Ho letto un interessante libro del fisico Lee Spetner, intitolato The Evolution Revolution (1). L’autore analizza due affermazioni della teoria neo-darwiniana dell’Evoluzione, una di cui è oppositore, quella che dice che tutti i viventi discenderebbero da una forma di vita elementare nata per caso e cioè da una prima cellula, e l’altra con cui concorda, quella che sostiene che nel corso del tempo avviene un cambiamento genetico a livello di popolazioni con conseguente variazione fenotipica, cioè dell’aspetto fisico, dei viventi. Questo cambiamento però non avverrebbe casualmente come sostengono i neo-darwinisti ma sarebbe una variazione genomica interna autoindotta per reagire ed adattarsi a stress ambientali e trasmissibile alla discendenza.

La nascita della prima cellula

Per gli evoluzionisti la vita sarebbe nata per un’aggregazione spontanea di molecole e sarebbe continuata con miglioramenti e variazioni ‘esplodendo’ in molti rami come quelli di un albero, con nuove specie che si sono susseguite, derivando le une dalle altre, come porzioni degli stessi rami. Il problema è che nessuno ha mai provato veramente che la vita sia potuta nascere per caso, con l'aggregarsi spontaneo di una prima ‘cellula’ capace di nutrirsi e riprodursi autonomamente. Questo evento è solo ipotetico, ma lo si è dato comunque per certo, quindi è diventato una specie di assioma da cui partire (2).

Il fenomeno di aggregazione spontanea con il conseguente formarsi di una pur primitiva e semplice cellula appare però molto improbabile anche nei seppur lunghi tempi geologici a disposizione. Ovviamente gli evoluzionisti dicono che ciò non è vero, che è successo nel passato e che adesso però di questo evento si sono perse le tracce. Ma allora se è stato possibile che delle molecole inanimate si siano aggregate casualmente per formare la vita, perché pur con tutta la tecnologia che oggi abbiamo a disposizione non si è ancora riusciti a ricrearla ex-novo in laboratorio? Dice Spetner: “Sebbene siano state proposte diverse teorie su come si siano aggregate spontaneamente delle molecole biologicamente significative, nessun progresso è stato ancora fatto su come si siano potute mettere assieme per generare la necessaria informazione” (3).

La discendenza comune e l’albero evolutivo

Spetner analizza la questione della discendenza comune. A smentire questa ipotesi e quindi l'idea di albero evolutivo, quello costruito con omologie, potrebbe essere anche il fatto che esistono diverse ‘convergenze’ o per dirla in breve organi simili pur in rami differenti. E che degli organi analoghi siano sorti indipendentemente e più volte in organismi privi di legami di discendenza comune senza tenere conto dell’estrema improbabilità di tali ripetizioni appare ancor più irrealistico. Gli evoluzionisti rispondono che le convergenze si spiegano con il fatto che soluzioni sono simili a causa di pressioni selettive uguali, ma appare strano che vengano fuori più volte soluzioni identiche in specie per niente imparentate o collegate tra loro. 

Ad esempio: l’occhio non è certo un organo semplice, eppure si calcola che sia spuntato almeno 50 volte in maniera indipendente ed esistono anche convergenze con l’apparato uditivo tra insetti e mammiferi. Infatti si è scoperto che la Copiphora gorgonensis ha un apparato uditivo simile a quello dei vertebrati. E così pure per l’olfatto, insetti e mammiferi rivelano dall’ambiente gli stessi segnali chimici attraverso i recettori di odori delle cellule dell’epitelio olfattivo e ancora, per il gusto, molte papille gustative sono simili negli insetti e nei mammiferi e rilevano gli stessi sapori (4).

Insomma ci sono tante evidenze che rendono la costruzione ad albero fatta dagli evoluzionisti debolmente sostenibile e molto problematica.

Modifiche del genoma ereditabili come risposta agli stimoli ambientali

Ma veniamo invece all’altro argomento. Spetner non è né un anti-evoluzionista radicale né un creazionista, infatti accetta la seconda affermazione evolutiva: col tempo c’è una modifica nelle caratteristiche ereditabili di una popolazione, cioè il pool genetico delle popolazioni cambia, però egli rifiuta il meccanismo proposto dai neo-darwinisti che ritengono la ‘causa’ di tale variazione il ‘caso’ (scusate il gioco di parole, ma così è!) .

Per la Teoria Neodarwiniana (NDT) i cambiamenti nel corredo genetico sono casuali, è poi la selezione naturale che, facendo aumentare il numero dei rappresentanti con variazioni positive rispetto agli altri individui, per il fatto che una variazione positiva comporta un aumento della discendenza, con il tempo rende tutta o quasi la popolazione composta da individui con il nuovo corredo genetico. Da notare che la selezione non ha quindi un potere creativo ma solo di scelta tra diverse variazioni che resterebbero comunque casuali.

Il fatto che degli errori possano generare la grande varietà degli organismi viventi, pur con la selezione che sceglierebbe i più adatti ed eliminerebbe gli altri, è poco convincente per una questione di probabilità. Inoltre il fatto che le possibilità di cambiamenti siano innumerevoli ma che tra questi, guarda caso, appaiano delle ‘soluzioni giuste’, sempre oltremodo complicate e ottimali, e che verranno poi scelte e selezionate, appare poco realistico, almeno di non ammettere la possibilità che la natura possa fare dei miracoli.

Ma oltre a ciò, le variazioni che comportano un miglioramento devono essere tali da aggiungere informazioni al corredo genetico se si vuole che siano trasmissibili alla discendenza. E qui è il punto cruciale. Ovviamente se l’evoluzione è vera, questa informazione nata per caso e man mano immagazzinata è stata notevole nel corso di un lunghissimo intervallo temporale che copre circa 3 miliardi di anni. Però per periodi più brevi dovremmo almeno osservare piccoli cambiamenti che comportino aggiunte di una seppur minuscola informazione. E’ cosi? L’unico processo in cui vediamo piccoli cambiamenti è quello microevolutivo. Esso si potrebbe definire come un procedimento del tipo ‘variazioni sul tema’ e non comporta la comparsa di nuovi organi o funzioni, almeno nei tempi in cui facciamo osservazioni. Esempi di ciò sono il melanismo delle falene, la resistenza agli antibiotici di alcuni batteri, la variazione forzata nella dieta batterica, i fringuelli di Darwin e in generale la speciazione rapida di piante e animali in condizioni ambientali particolari.

Nel melanismo in realtà ad operare è la sola selezione in quanto tra le falene esistono già esemplari neri insieme a quelli bianchi e quindi l’informazione non viene creata ma esiste già. Nella resistenza agli antibiotici esistono due possibili meccanismi: o ci sono già individui già resistenti, che hanno qualche gene che dà immunità e che trasmettono agli altri esemplari con scambi di pezzi di cromosoma, oppure ci sono alcuni individui che hanno degli errori nel codice e perciò non possono essere attaccati dal medicinale e quindi pur essendo ‘difettosi’ vengono però favoriti dalla selezione. In ambedue i casi non c’è però aumento di informazione, il codice genetico della popolazione questa informazione ce l’ha già: essa o viene scambiata o è deteriorata. Ciò succede anche con la mutazione casuale di certi geni che produco enzimi che per qualche errore diventano più generalisti e quindi meno specifici e questo comporta una diminuzione di informazione.

Speciazione rapida

Come ho già spiegato in un precedente post, ci sono diversi casi in cui alcuni gruppi di individui di specie animali o vegetali, in condizioni di isolamento in certe zone geografiche, hanno subito processi di speciazione rapida, cioè cambiamenti molto veloci e tali da farli diventare un tipo di sottospecie a parte che non ha più la possibilità di incrociarsi con il gruppo della specie da cui si è staccato.

Questi esempi mostrano che il processo di speciazione, cioè di adattamento e specializzazione, è comunque pur sempre un processo di microevoluzione e non di macroevoluzione.

Quello della speciazione può essere considerato un esempio dell’esistenza di potenzialità nel pool genetico di una popolazione, la presenza di strumenti utili ad affrontare diverse e possibili situazioni di disagio future. Sembra di essere perciò in presenza di una ‘variabilità programmata’, di una risposta silente che si manifesta solo quando le condizioni ambientali lo richiedono.

Eccone alcuni tratti da Junker e Scherer (5):

- Nelle isole Faroer vennero introdotte alcune coppie di topo domestico che nell’arco di 300 anni si sono sviluppate in una nova specie biologica.

- A Porto Santo un’isola vicino a Madeira, nel secolo XV vennero introdotte alcune specie di coniglio; gli animali inselvatichirono e la pelliccia divenne più scura come forma di adattamento alla colorazione delle rocce laviche; a causa dei cambiamenti comportamentali, poi, non si incrociarono più con i conigli dai quali avevano preso origine.

- Solo alcuni esemplari di certe piante selvatiche riescono a sopravvivere in terreni contaminati con metalli pesanti. La maggior parte dei semi in questi terreni non riesce a germogliare, ma una piccola percentuale sì. Questi esemplari poi diffondono semi le cui piante riescono a crescere nei terreni contaminati. L’analisi genetica ha dimostrato la successiva difficoltà dei discendenti di questi esemplari iniziali a re-incrociarsi con quelli che crescono nei terreni normali, quindi è come se anche in questo caso sia nata una nuova specie.

- In isole battute da venti molto forti si sviluppano insetti incapaci di volare, cioè che quindi hanno atrofizzato o perse le ali

- Nelle grotte si formano esemplari ciechi per atrofizzazione dell’apparato visivo

In tutti i casi su elencati questi esemplari non hanno sviluppato un nuovo carattere, anzi di solito lo hanno perso: per le piante ad esempio la tolleranza alle sostanze inquinanti deriva probabilmente dal fatto che la capacità di assorbimento dei sali minerali dal terreno è limitata; non si tratta quindi di un progresso evolutivo, bensì dii una limitazione, che però nel caso specifico si rivela vantaggiosa(6).

Perciò spesso in realtà il processo di speciazione comporta un impoverimento del patrimonio genetico.

Un discorso analogo può essere fatto nel caso in cui ci sia stata una speciazione rapida con caratteristiche che apparentemente non sono difetti e che non sembrano essere presenti nelle specie di partenza. In questi casi si deve necessariamente supporre che le caratteristiche erano in realtà presenti in forma silente già nelle specie originarie in quanto la velocità con cui questi caratteri sono spuntati è di molto superiore alla velocità delle mutazioni genetiche casuali eventualmente necessarie.

Ecco degli esempi, sempre tratti dal testo di Junker e Scherer (7), tutti avvenuti nell’arco di pochi anni

- modifica della forma del becco nei fringuelli di Darwin, della direzione di migrazione delle capinere, della dimensione degli arti negli iguanidi, delle dimensioni e nelle strategie riproduttive nei guppy, nella struttura del pappo di Asteraceae

- speciazione del policheto marino, del mimulo e per ibridazione dei girasoli

Altri esempi interessanti sono stati quello dell’evoluzione esplosiva :

- variazione rapida dei pesci ‘ciclidi’ nel lago Vittoria. Sono presenti oltre 300 specie appartenenti in maggioranza allo stesso genere ma molto differenti morfologicamente, cioè in dimensioni, colori e altri aspetti. Con analisi di biologia molecolare si è dimostrato però che tutte queste specie costituiscono un gruppo monofiletico, cioè derivano da un’unica popolazione originaria. Ciò significa che queste specie si sono formate nell’arco di 12.000 anni, che è l’età del lago. Essi “quindi sono un esempio di notevole velocità di diversificazione morfologica e ciò in assenza di una contemporanea accelerazione dell’evoluzione molecolare(8)

- evoluzione nel lago Malawi . Vi è una fauna costituita da circa 200 specie, che si è probabilmente formata nel corso di 200 anni a causa delle forti oscillazioni del lago. “E’ evidente che lassi di tempo di poche centinaia di anni, che per i criteri evoluzionisti sono trascurabili, possono essere sufficienti per produrre nei ciclidi modifiche morfologiche di portata molto maggiore di quanto si era ritenuto finora possibile(9).

E’ da ribadire quindi che le variazioni di tipo ‘esplosivo’ di cui abbiamo visto sopra alcuni esempi e che avvengono in tempi molto brevi, sono necessariamente dovuti a selezione di particolari alleli del pool genetico causato delle condizioni ambientali, in quanto non è possibile che sia avvenuto per mutazioni casuali, perché queste ultime richiedono necessariamente dei tempi molto lunghi.

In anni di osservazioni nell’ambito della botanica e della zoologia non si è mai rilevato la nascita di un nuovo organo o di una nuova funzione degna di nota, né tanto meno la nascita di un nuovo ‘genere’ tassonomico. Da ciò si ricava allora che, l’adattamento a situazioni particolari, non è dovuto a mutazioni casuali, ma è già necessariamente contenuto nel pool genetico della specie di partenza, anche se lo posseggono solo alcuni esemplari.

La teoria della ‘evoluzione rapida non casuale’ di Spetner

Considerato che esistono questi esempi di speciazione rapida, come ho già detto Spetner rifiuta la variazione casuale puntiforme nel genoma come causa dell’evoluzione. Al suo posto enuncia la teoria NonRandom Evolutionary Hipotesis (NREH), in cui spiega la varietà dei viventi col fatto che ogni organismo avrebbe degli strumenti interni silenti che vengono innescati da cambiamenti dell’ambiente in cui vive per attuare reazioni, difese e adattamenti a situazioni avverse, e che tali variazioni, una volta venute alla luce oltre che a determinare cambiamenti fenotipici (cioè nell’aspetto fisico), che assicurano un vantaggio nel nuovo ambiente e quindi un successo riproduttivo, sarebbero poi trasmesse alla discendenza come variazioni genotipiche (cioè nel patrimonio genetico) (10).

Il fatto che le trasformazioni degli organismi sarebbero dovute a influssi ambientali, e che poi verrebbero trasmessi alla prole, fu ipotizzato per primo da Lamarck e la teoria che parla di ciò fu indicata con il nome Lamarckismo. Questa teoria però è stata rigettata dai darwinisti i quali invece sostengono che i fattori dei cambiamenti sarebbero le mutazioni genetiche casuali e la selezione naturale e non direttamente gli influssi ambientali esterni.

Ma Spetner come sostiene la sua ipotesi? Innanzitutto osserva che è stato trovato che nei batteri per rispondere ai cambiamenti dell’ambiente esterno si innescano meccanismi di rimaneggiamento del genoma che viene poi trasmesso ai discendenti. Stessa cosa avviene in alcune specie di piante. Fra l’altro si notano gli stessi cambiamenti in ambienti distanti che però presentano le stesse caratteristiche e ciò va a sfavore della casualità variazionale neo-darwiniana. Si è anche trovato che in una specie di moscerino della frutta le variazioni dipendono dalla latitudine e in qualunque altra parte del globo purché alla stessa latitudine si hanno le stesse caratteristiche acquisite: anche questa è una prova di cambiamento determinato da cause ambientale e non di variazione casuale.

Esistono in effetti anche caratteristiche epigenetiche, quelle che derivano da cambiamenti non casuali nucleotidici nel DNA, variazioni programmate che accadono all’interno del codice genetico, con rimaneggiamenti, spostamenti e messa in opera di geni prima silenti, e che si attuano in certe situazioni (come nelle differenziazioni cellulari nello sviluppo dell’embrione) e che vengono poi trasmesse alla discendenza. Ed è a questo tipo di cambiamenti stimolati da influssi esterni che si riferisce Spetner.

La cellula inoltre riesce ad accendere o a spegnere certi geni per l’inizio o la cessazione della produzione di certe proteine di cui ha bisogno e certi batteri riescono a metabolizzare nuovi tipi di zuccher,i nel caso che quelli di cui si nutrivano vengano a mancare, o riescono ad attivare geni ‘nascosti’ secondo le necessità. Queste sono risposte ‘a breve termine’. Ma allora si può anche ipotizzare che per poter affrontare variazioni ambientali l’organismo abbia la capacità di innescare cambiamenti nel genoma e nel fenotipo trasmissibili alla discendenza, cioè sia capace risposte ‘a lungo termine’. Per ora però non si conosce nessun processo che possa incorporare informazioni nel genoma, ma che la cellula abbia la capacità di cambiare il proprio genoma secondo le necessità è stato ipotizzato da Shapiro (11) (12). Inoltre il fatto che questi cambiamenti sarebbero come ‘programmati’, al contrario di quelli ‘casuali’, avverrebbero nella stessa maniera come risposta allo stesso ‘stress’ ambientale in numerosi esemplari della stessa specie e ciò potrebbe spiegare le speciazioni rapide di cui abbiamo portato alcuni esempi, in quanto le variazioni favorevoli ci metterebbero molto meno tempo a diffondersi nella popolazione visto che i portatori di esse sarebbero tanti.

Il Paradosso del valore C

Spetner sostiene che la sua ipotesi NREH risolverebbe inoltre il Paradosso del valore C. Il valore C è per convenzione un indice della quantità di DNA in possesso di un organismo. Il paradosso consiste nel fatto che nella stessa specie diverse razze hanno alle volte dei DNA che differiscono in lunghezza anche di un fattore 10. Infatti ad esempio la rana Limnodynastes ornatua ha un valore C di 1,0 mentre la rana Ceratophirus ornata ha un valore C maggiore di 13. Gli evoluzionisti hanno sostenuto che quel DNA in più sarebbe ‘spazzatura’ (Junk DNA), un residuo dell’evoluzione, ma considerato che successivamente si è scoperto che tale parte di DNA pur non codificando proteine è tutt’altro che inutile ma ha svariate importanti funzioni,  allora Spetner dice che gli animali che hanno meno DNA hanno perso l’armamentario per affrontare situazioni nuove che è invece rimasto nel DNA di quelli che ne hanno di più (13).

L’idea di Spetner mi sembra convincente sotto vari aspetti anche se non ho elementi decisivi per poter affermare che è giusta. Ovviamente questa teoria fosse vera, saremmo in presenza di una variabilità programmata che rafforzerebbe l’ipotesi di un Intelligent Design. A quanto mi risulta i neo-darwinisti rifiutano questa teoria, perché mette in crisi il loro assioma fondamentale che è quello della variazione genomica puntiforme casuale come motore evolutivo.

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Note e crediti
 
(1) Lee Spetner – The Evolution Revolution; Why Thinking People are Rethinging the Theory of Evolyution - Judaica Press 2014
(2) A dire il vero, a mio parere, il processo ‘logico’ che porta ad affermare ciò, in alcuni casi inconsciamente, è più o meno questo: “Considerato che non c’è un Creatore, allora non c'è creazione e quindi la vita non può che essere nata dalla materia inanimata e spontaneamente”. Quindi essenzialmente si parte da un presupposto ideologico (ateismo) per fare affermazioni che comportano una nuova ideologia pseudoscientifica (il naturalismo).
(3) Lee Spetner op. cit. Cap. 1. Fra l'altro Spetner racconta che "nel 1960 il famoso paleontologo statunitense George Gaylord Simpson affermò trionfante: "In un recente convegno a Chicago è stato interpellato un gruppo di esperti internazionali di altissimo livello. Tutti considerano la creazione della vita in laboratorio come imminente...". Il problema è che oggi, più di sessantanni dopo, stiamo ancora aspettando questa fantomatica "creazione imminente"...
(4) Lee Spetner op. cit. Cap. 4
(5) Junker e Scherer – Evoluzione – un trattato critico – Ed. Gribaudi, a pag 58
(6) Junker e Scherer – op. cit. - a pag 60
(7) Junker e Scherer – op. cit. - a pag 302
(8) Junker e Scherer – op. cit. - a pag 302
(9) Junker e Scherer – op. cit. - a pag 302
(10) Lee Spetner op. cit. Cap. 2
(11) Shapiro – Genome organization, matural genetic engineering and adaptive mutation – Trend in Genetics 13: 98-104 (1997) – cit. da Spetner Cap. 2
(12) Shapiro – Evolutiom – A View from the 21st Century, FT Press in Science (2011) cit. da Spetner Cap. 2
(13) Lee Spetner op. cit. Cap. 5



 

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