23 dicembre 2018

Un primo bilancio dopo una vita dedicata all’insegnamento - 1^ parte

Si avvicina il momento in cui andrò in pensione, dopo 37 anni di servizio di insegnamento di matematica e fisica nei licei. Finirà quindi un lungo periodo della mia vita professionale, impegnativo e a tratti turbolento, ma che mi ha anche dato molte soddisfazioni, e ne inizierà uno, che spero sia proficuo, di riflessione, studio e divulgazione sulle problematiche di  Scienza e Fede.

Tanti colleghi che mi incontrano nei corridoi della scuola mi dicono: ‘beato te che vai via!’, Questo per me significa che una buona parte degli insegnanti si sente stanca e demotivata e vorrebbe lasciare. Ma come è possibile che si sia arrivati a questo punto?
Sono convinto che ci siano numerosi motivi che hanno contribuito, e mi propongo di analizzarli in maniera più approfondita in un lavoro futuro che pubblicherò. Adesso ne elencherò solo alcuni, quelli che più facilmente mi vengono in mente. Eccoli...


Dagli all’insegnante!

E’ ormai cronaca di quasi tutti i giorni: avvengono numerose aggressioni verso i docenti da parte di genitori o di alunni.
Un tempo si aveva rispetto per la figura del maestro, invece ora il professore da tanti, forse troppi, viene visto come un avversario da battere (se non addirittura da ‘abbattere’). Vero è che, per fortuna, ci sono molti che nutrono ancora stima per i docenti, ma è cresciuto il numero degli utenti irriconoscenti. Come mai?

Io la penso così: nel corso di questi ultimi quarantanni, nei mezzi di informazione una costante è stata quella di sbattere in prima pagina il cattivo comportamento di alcuni docenti. Anche se erano casi isolati, si è fatta  passare quasi tutta la categoria degli insegnanti come composta per buona parte da persone di quel tipo, cioè ignoranti e incapaci, lavoratori part-time e con troppe vacanze.  E come si può pretendere perciò che con questi paragoni i professori si sentiano gratificati nello svolgere  il loro lavoro, se per la pubblica opinione quasi non meritano il pur basso stipendio che guadagnano? 

I professori nello svolgere il loro lavoro alle volte possono essere financo degli eroi, ma non sono dei Superman, e anzi si ritrovano continuamente con la spada di Damocle di ricorsi e azioni legali pendenti sul capo. E anche se nella maggior parte dei casi hanno la voglia di continuare a svolgere bene la loro professione pur in  condizioni così difficili, non possono certo fare miracoli, visto fra l'altro che, come vedremo,  le loro ‘armi’ educative sono state da tempo volutamente spuntate.

E, detto en passant, perché fra l'altro in questo discorso non vengono quasi mai coinvolti i docenti universitari? Raramente infatti si contesta il fatto che molti di loro fanno lezione solo per tre o quattro ore alla settimana, guadagnano uno stipendio elevato e spesso dedicano il loro tempo all’attività professionale privata da cui ricavano lauti compensi! Su questo dico subito la mia anche se ad alcuni potrà sembrare una opinione esagerata: il vero potere, nelle istituzioni e nella società, è in mano a docenti universitari, e siccome ‘cane non mangia cane’ è poco probabile un attacco contro di loro. E' come se essi costituissero una specie di casta, perchè sono i padroni del discorso. Il bersaglio facile e forse anche predestinato è invece quello dei docenti di scuola media, che risultano perciò i veri ‘proletari’ dell’insegnamento.

Un aggiornamento universitario sbarrato

Un tempo le porte tra licei e università erano comunicanti e i docenti di scuola media superiore, se ne erano capaci e ne avevano voglia, potevano ambire a diventare docenti universitari, e c’era perciò una specie di simbiosi e di scambio culturale continuo tra la ricerca e l’insegnamento. Poi queste porte sono state sbarrate, e i docenti di scuola media sono stati considerati da allora solo degli ‘educatori’ e ‘trasmettitori’ incapaci di produrre innovazione e ricerca, riservata solo all’Università. E questo a mio avviso è stato un errore perché ha appiattito il lavoro del docente solo sulla didattica e non ha dato alimento alla voglia di ricerca e aggiornamento continuo che la possibilità di poter accedere ad un ruolo superiore poteva dare. Ma questo forse lo si è voluto - e qui faccio un po’ il ‘complottista’ - perché era necessario ridurre a mero esecutore  il docente di scuola media, che fino allora era stato troppo indipendente e troppo orientato a formare veramente le menti dei giovani. 
 
A mio avviso questa è stata una specie ritorsione dei ceti dominanti dopo il sessantotto: svilire sempre più la qualità dell’istruzione pubblica in modo che quella migliore fosse comunque  riservata ai figli dell’alta borghesia dirigente con scuole private di ottimo livello, anche all’estero, e ciò è stato ottenuto con il "dagli all’insegnante pubblico", e incredibilmente purtroppo anche con la complicità delle cosiddette forze ‘democratiche’ e ‘progressiste’ e degli stessi sindacati che, con cecità sempre più autolesionista si sono uniti al coro della ‘democratizzazione’ che però alla fine ha contribuito al decadimento continuo della potenza educativa della scuola.

Quelle che ho appena elencato sono a mio parere solo alcune delle cause primarie che hanno ispirato e mosso gli interventi peggiorativi in ambito scolastico: delle altre ne parlerò in un discorso più articolato, analitico e approfondito. Ma tali premesse hanno generato  alcune  ‘innovazioni’ che hanno contribuito in maniera importante a provocare lo sfascio attuale. Eccone alcune..

Gli organi collegiali

Non so bene cosa succede negli altri paesi, e forse a questo punto non mi interessa neanche tanto saperlo, ma in Italia a mio avviso molti problemi sono iniziati nel periodo post sessantotto con l’introduzione dei cosiddetti ‘Decreti Delegati’ con cui si sono istituiti fra l'altro i cosiddetti ‘Organi collegiali’, con l'intento dichiarato di dare una impostazione ‘democratica alla scuola’, facendo più partecipi gli alunni e i genitori alla cosiddetta ‘vita scolastica’. Così sono nati i 'consigli di classe' aperti ad alunni e genitori.

Ma cosa significa ‘partecipazione democratica’ in questo caso? Vuol dire che alcune persone che hanno un interesse privato - spesso quello di essere comunque promossi e avere voti alti con il minimo dello studio per quanto riguarda buona parte degli studenti e la riuscita ad ogni costo, almeno sulla carta, dei propri figli per quanto concerne molti genitori - possono esprimere la loro (disinteressata?) opinione in campi in cui non sono competenti: la didattica e la valutazione. 
Ed ecco perciò che i  ‘consigli di classe’, alle volte persino allargati a tutti gli studenti della classe e alla totalità dei genitori, mentre potrebbero magari servire con un confronto pacato, nella distinzione dei ruoli di ognuno, a risolvere problemi e chiarire incomprensioni, e spesso per fortuna è così,  in altri casi purtroppo si trasformano piccoli tribunali in cui vengono 'processati' alcuni insegnanti ‘rei’ assegnare troppi compiti per casa e di pretendere troppo dai discenti, o di mettere voti troppo bassi’, causando ‘frustrazione e demotivazione’, o ‘somatizzazione’ come volle intendere una mamma in un consiglio di classe, che pensando di fare bella figura - mentre noi docenti ci guardavamo sbigottiti - ripeté più volte, contenta di usare una parola colta, un “mia figlia sodomizza!” (invece di ‘somatizza’) a causa dei voti negativi che prendeva.

Mi sono sempre chiesto come è possibile che genitori e alunni possano esprimere ‘democraticamente’ la loro opinione su argomenti in cui sono incompetenti, facendo per giunta passare ciò come una cosa necessaria alla vita scolastica. 
Per fare un paragone, chi potrebbe ammettere, ad esempio, che pazienti e loro parenti possano dire ai medici di un ospedale quello che questi debbono fare? Siamo in una situazione più o meno simile, anche se molta gente accecata dalla ideologia ‘democratica’ non lo ammette. A mio modesto parere la democrazia in certi ambiti non è possibile, almeno come la si è concepita e inserita nel tessuto scolastico, perché in certi campi è necessario avere una gerarchia oltre che operativa anche intellettuale e culturale. Ad ognuno insomma deve competere il suo ruolo, senza invasioni di campo.

In un ospedale il paziente deve ‘pazientare’ e se non ha fiducia può sempre mettere firma e andarsene altrove, ma non può dire ai medici ciò che debbono o non debbono fare o come debbono operare. Così nella scuola l’alunno deve frequentare, studiare, imparare, rispettare i compagni e il personale docente e non docente, mostrando possibilmente anche un po’ più di gratitudine per gli insegnanti, che in condizioni così difficili fanno comunque il loro dovere. E i genitori dovrebbero educare e crescere i figli, quello è il loro ruolo, non quello criticare se non addirittura aggredire l’insegnante, per un voto negativo o per una nota, o dargli la colpa degli insuccessi scolastici dei figli o dirgli quello che deve fare o non fare in classe. 
Nelle scuole di un tempo, noi e i nostri genitori, senza poter mettere bocca su certe questioni, non ci siamo formati e istruiti in maniera seria lo stesso? Magari non era giusto neanche così, ma ora si è esagerato!

Possibilità di scelta

E anche il fatto di aver dato la possibilità di iscrivere i propri figli, una volta scelto il tipo di percorso (liceo, itis o professionale), in una scuola di proprio gradimento non necessariamente vicina all’ambito di residenza, se da un lato è stata una cosa giusta, dall’altra a mio parere ha portato a delle storture .

Infatti è successo che alcune scuole sono diventate man mano più serie e selettive, e in esse perciò si iscrivono soprattutto studenti che vogliono studiare veramente. E queste scuole perciò migliorano sempre più come utenza e fama, a causa dei buoni risultati anche certificati in gare o prove esterne, mentre le altre, per non perdere l’utenza, hanno puntato di fatto sull’abbassamento dell’offerta mascherandola con risultati spesso troppo ottimistici. Per dirla in breve, credo che forse in certe scuole si mettano voti più alti del normale rispetto al rendimento effettivo degli studenti e ciò perché passata la vulgata che l’abbandono scolastico è sempre ‘negativo’, e questo è forse vero, ma spesso l’abbandono non è veramente tale, anche se viene definito così, perché gli studenti lasciano per iscriversi in un altro istituto o capiscono che l'indirizzo scelto non fa per loro. E comunque invece di mettere in atto veri ausili didattici, tipo sostegno e corsi di recupero, per arginare questo fenomeno, anche a causa della mancanza di mezzi e soldi, si è ricorso allo stratagemma di promuovere anche in situazioni critiche, nella speranza, quasi sempre rivelatasi illusoria, di risultati migliori negli anni successivi a causa della crescita dell’alunno, ottenendo però spesso, a mio avviso, il risultato opposto, perché evitando la bocciatura si impedisce un nuovo tentativo di acquisizione delle basi che magari sarebbe stato possibile  ottenere ripetendo l'anno. Così alla fine si evita o diminuisce formalmente l’abbandono scolastico, ma si dà il diploma a delle persone fragili e con molte lacune, che purtroppo davanti alle difficoltà del  successivo percorso universitario o lavorativo si troveranno impreparati.




1 commento:

  1. Da ex-prof di biologia (ho lavorato un po' nella scuola media, e a lungo negli istituti tecnici commerciali e nei licei artistici, scientifici e classici del veneziano), devo dire che per lo più mi trovo d'accordo con quanto lei dice. Essendo però entrato nel sistema scuola qualche tempo prima, ho potuto assistere alla nascita di questo sfacelo, osservandone le tante concause sia interne che esterne al sistema.
    E devo purtroppo dire che non sono poche le responsabilità dirette e indirette gravanti sulla coscienza del personale insegnante (e dei relativi sindacati). Lei forse non ha idea di quanto favore godesse l'idea di una "democratizzazione sociale" della scuola da attuarsi attraverso un complesso sistema di organi collegiali deliberativi coinvolgenti tutte le componenti del sistema!
    Ma ancora questo non sarebbe stato un dramma se fosse avvenuto nel contesto della vecchia scuola media non unificata e di una scuola superiore fuori dall'obbligo scolastico. Invece si volle estendere sempre più l'obbligo, moltiplicando le assunzioni (malamente selezionate), abbassando conseguentemente le aspettative economiche della categoria.
    Fu "anche" così che, quella che era sempre stata una professione intellettuale socialmente rilevante (come il titolo di "professore" attesta) fu ridotta a normale "impiego statale", con le conseguenze che conosciamo.

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