Come
ho detto in altri post, e mi ripropongo di mostrarlo più volte
riprendendo il discorso anche in futuro, non esiste nessuna prova
convincente che convalidi la cosiddetta ‘macroevoluzione’, il meccanismo
evolutivo sostenuto dal neo-darwinismo.
Ricordo che per ‘macroevoluzione’ si intende la nascita di nuove specie
(tecnicamente ‘tipi base’) da altre completamente differenti, a causa
della comparsa di organi e funzioni in precedenza inesistenti, e tutto
dovuto a mutazioni genetiche casuali e alla selezione naturale ( nel
caso che queste mutazioni rappresentino un ‘vantaggio selettivo’).
Essenziale per la teoria dell’evoluzione che postula la 'macroevoluzione' è che nuove funzioni si possano sviluppare per gradi a causa di mutazioni genetiche casuali e che quindi 'per caso' possano nascere nuovi 'tipi base' dotati di nuovi organi e funzioni. Il problema è che la selezione conserva solo gli individui che con la nuova mutazione presentano un vantaggio selettivo e elimina quelli che sviluppano funzioni ‘inutili’. Quindi l’evoluzione non può permettersi il lusso di inventare una funzione che ha senso solo se nascerà ‘casualmente’ in un futuro lontano un’altra funzione ad essa logicamente collegata e che la completi: siccome non è assolutamente previsto infatti un progetto, una funzione che nasca in previsione di un’altra successiva che la completi ‘utilmente’ in un futuro indefinito semplicemente non è possibile che compaia. E allora quando vediamo in un essere vivente delle funzioni che procedono in sequenza e che si completano temporalmente, dobbiamo supporre che queste siano spuntate contemporaneamente e non una dopo l’altra. Ma questo fatto cozza inevitabilmente con i numeri della probabilità: è praticamente impossibile infatti che spuntino casualmente e contemporaneamente molteplici funzioni che formano un progetto complesso, di una complessità irriducibile, cioè funzioni che compongono un ‘disegno’ con uno scopo, in cui ognuna di esse è essenziale, non eliminabile, e collegata in maniera logica con le funzioni successive a cui ‘prepara’ la strada.
Un esempio di strutture e funzioni che si completano a vicenda per formare un 'progetto' complesso sono quelle colllegate alla riproduzione dell’infiorescenza Aurum italicum, detta comunemente Gigaro.
La prima figura mostra l’infiorescenza che è avvolta da un’ampia brattea (modificata in spata nella parte inferiore). Dalla parte superiore della brattea semiaperta sporge l’estremità a forma di clava, detta spadice, mentre la sua parte inferiore, la spata,
rimane chiusa: esiste però un’entrata, che si nota nella seconda figura
(la brattea è stata aperta per osservarne l’interno): fra lo spadice e
la spata si trova una stretta apertura a collo di bottiglia resa però
più angusta da formazioni setolose rivolte verso il basso che permettono l’entrata ma non l’uscita.
Si distinguono, dall'alto verso il basso, i fiori maschili (rossi)
ancora chiusi e più giù i fiori femminili (bianchi), quelli che verranno
‘impollinati’ dagli insetti ospitati.
Ecco come Reinhard Junker e Siegfried Scherer descrivono la situazione:
“Verso sera, l’estremità dello spadice emana un odore che attira
moscerini e insetti notturni; il colore chiaro della brattea
contribuisce anch’esso ad attirare gli insetti. La combustione di amido
nello spadice provoca una forte emissione di calore, così il profumo del
fiore può essere diffuso in maniera più efficace. E in basso il calore
si accumula in modo da riscaldare l’interno della spata. Gli insetti
che, attirati dall’odore, atterrano sulla parte interna della brattea,
scivolano in basso essendo la superficie resa viscida da innumerevoli
goccioline d’olio.
Grazie al calore gli insetti che cadono nell’interno diventano più
attivi, depositano il polline (che portano già su di sé) sugli stigmi
dei fiori (bianchi) femminili e ricevono in premio il nettare: si tratta
di una specie di ristorante. Dopo alcune ore si aprono le teche
polliniche dei fiori (rossi) maschili, ricoprendo di nuovo polline gli
insetti, che lo trasporteranno al prossimo fiore visitato. Dato che con
l’aprirsi delle teche polliniche le formazioni setolose che bloccavano
l’uscita cominciano ad avvizzire, la via d’uscita per gli insetti
risulta di nuovo libera. Ci troviamo così di fronte a strutture adattate
le une alle altre e ad un perfetto tempismo, senza il quale tutta la struttura sarebbe inutile per la pianta”.(1)
Ecco quindi un elenco dei caratteri strutturali e funzionali esistenti:
Caratteri strutturali
1) collo di bottiglia
2) goccioline di olio
3) profumo
4) formazioni setolose
5) fiori maschili
6) fiori femminili
7) ‘ristorante’ riscaldato
caratteri funzionali
1) emissione odore
2) riscaldamento
3) facilitazione entrata (olio)
4) chiusura uscita (setole)
5) nutrimento (nettare) con riscaldamento
6) ricevimento polline (fiori femminili)
7) rilascio polline (fiori maschili)
8) facilitazione uscita (avvizzimento setole)
9) tempismo
“Le caratteristiche e le facoltà elencate indicano quali caratteri
strutturali e funzionali sono indispensabili al funzionamento di questi
ristoranti vegetali: nessuna di tali caratteristiche può essere
considerata opzionale.
Quale potrebbe essere stato un primo evento mutazionale con un valore
selettivo positivo? Solo una mutante avvantaggiata nella selezione
avrebbe avuto la possibilità di diffondersi. Ma bisogna tenere presente
che le mutazioni (che hanno luogo in individui diversi, o in geni e
tempi diversi) sono del tutto arbitrarie e che non si trovano, fra loro,
in alcun rapporto causale dimostrabile. Un adattamento reciproco di più
mutazioni è un evento molto raro, dato che nel processo evolutivo non
esiste una finalità comprovata. In pratica non esiste un ‘prepararsi’
ad una mutazione successiva. Le forma intermedie, infine, non devono
mai produrre uno svantaggio selettivo, perché altrimenti verrebbero
eliminate dalla selezione.
Teoricamente (come primo evento mutazionale) si potrebbe usare ognuno
dei vari elementi dell’affascinante struttura descritta, ma a parte il
profumo, se considerati singolarmente essi non presentano alcun
vantaggio selettivo pratico. Un vantaggio selettivo è dato solo nello
stadio finale del processo; gli stadi intermedi ‘incompleti’ sono
biologicamente inutili e sarebbero stati eliminati dalla selezione
stabilizzatrice. La selezione quindi non solo non può spiegare lo sviluppo della struttura in questione, ma l’avrebbe addirittura inibito”. (2)
P. S. Nel constatare la meraviglia di questo semplice ‘fiore
di campo’ dalla forma di un piccolo giglio che mette in seria
difficoltà i meccanismi ipotizzati che dovrebbero portare
all'evoluzione, da credente mi è venuto in mente il seguente versetto
del Vangelo (Matteo 6, 28-30): "Osservate come crescono i gigli del campo: non lavorano e non
filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria,
vestiva come uno di loro. Ora se Dio veste così l'erba del campo, che
oggi c'è e domani verrà gettata nel forno, non farà assai più per voi,
gente di poca fede?"
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Note
(1) Reinhard Junker – Siegfried Scherer – Evoluzione, certezza dei fatti
e diversità delle interpretazioni – Edizioni Gribaudi (2007) – pag. 79.
(2) op. cit. pag. 80
.
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