"In realtà, non sappiamo molto bene come funzioni l'evoluzione; non lo sapeva neanche Darwin, e non lo sa esattamente (per quel che possiamo stabilire) nessun altro. 'Sono necessarie ulteriori ricerche', come si usa dire. Può darsi che siano necessari secoli di ulteriori ricerche."
Il
passo riportato sopra è tratto dal libro “Gli errori di Darwin”
degli evoluzionisti Massimo Piattelli Palmarini e Jerry Fodor (1) .
E’ un libro di non facile lettura perché pieno di termini
tecnici mutuati dalla biologia e dalla psicologia, dalla filosofia
della mente (sic), dalla semantica del linguaggio naturale. In esso inoltre si sviluppano discorsi piuttosto complicati che lo rendono perciò un testo non certo divulgativo.
L’ho
voluto consultare comunque per curiosità, nonostante la noia e la fatica che ho provato nel
seguire certi ragionamenti...
Gli autori, già dal titolo, mostrano di credere fermamente, e a loro parere lo dimostrano, che c’è qualcosa che non va in uno dei pilastri del darwinismo: quello della selezione naturale. Infatti dicono nell’introduzione che
“c’è qualcosa di sbagliato – molto probabilmente di fatalmente sbagliato – nella teoria della selezione naturale; e ci rendiamo conto che persino fra quelli che non sono nemmeno molto sicuri di cosa sia, l’adesione al darwinismo è diventata una cartina di tornasole per stabilire chi possiede una concezione del mondo ‘realmente scientifica’, e chi no. ‘Bisogna scegliere tra fede in Dio e fede in Darwin; se si vuole essere umanisti laici, meglio optare per la seconda’. Così ci dicono” (2).
Già da questo passo si evincono due cose: che il darwinismo - e con esso la sua versione rivista e moderna che va sotto il nome di neo-darwinismo - non è così sicuro delle sue tesi come invece vorrebbero farci credere e che ormai l’evoluzionismo darwiniano, per ammissione degli stessi suoi seguaci, è diventato una specie di fede laica che si contrappone a quella religiosa. Ne viene che non sei considerato scienziato se credi in Dio: cioè devi essere ateo se no non puoi studiare la natura. I due autori sono consapevoli di questa impostazione, tant’è che sentono il bisogno di affermare quanto segue: "ci proclamiamo atei - completamente, ufficialmente, fino all'osso e irriducibilmente atei…" (3) e più avanti dicono che negli ambiti in cui fanno ricerca e cioè in quelli della filosofia della mente, la semantica del linguaggio naturale, la teoria del giudizio e della decisione, la pragmatica e la psicolinguistica,
“il neo-darwinismo è assunto come un assioma: non viene mai, letteralmente, messo in questione. Una concezione che sembri contraddirlo, direttamente o per implicazione, è ipso facto rifiutata, per quanto plausibile possa sembrare. Interi dipartimenti, riviste e centri di ricerca operano secondo questo principio” (4) .
E con questo gli autori implicitamente confermano quanto sosteneva Kuhn nella sua opera ‘la struttura delle rivoluzioni scientifiche’ (5), e cioè che una volta che la scienza, in un determinato periodo storico, ha costruito, consolidato e accettato un paradigma, vengono fuori delle resistenze molto forti atte a conservare tale struttura, e tutte le idee e teorie che mettono in pericolo tale visione vengono emarginate, derise e rifiutate.
Gli autori criticano l’impostazione fatta dal neo-darwinismo, nato dalla fusione di darwinismo e genetica, secondo la quale il motore dell’evoluzione sarebbe essenzialmente la selezione naturale. I neo-darwinisti considerano i cambiamenti casuali a livello genetico, pur presenti, come poco influenti: per loro il fattore più importante è l’ambiente che in qualche modo imprime una direzione alle macro-variazioni con la selezione dei più adatti. Gli autori fanno notare che in realtà per costruire un individuo operano molti geni, soprattutto quelli regolatori detti omeobox, che decidono la posizione spazio-temporale dei vari segmenti e organi corporei, per cui un'attivazione o meno di questi geni porta inevitabilmente ad un cambiamento importante a livello di organismo, e quindi individuano nell'attivazione di questi geni la vera e propria causa delle variazioni macro-evolutive. Il problema di questo approccio che esalta i geni regolatori è però che poco o nulla dice sulla formazione dei diversi moduli che si occupano della vera e propria costruzione degli organi (ad esempio quello che agisce per la costruzione dell’occhio varia nelle diverse specie tra i 2000 e 2500 geni che operano in sequenza o contemporaneamente). Risulta sperimentalmente che lo spostamento, la soppressione o l'aggiunta nel DNA delle sequenze di geni omeobox porta come risultato delle mostruosità tipo occhi nell’addome o zampe a posto della testa, ma non la nascita di nuovi apparati, come si è visto in numerosi esperimenti fatti sul moscerino della frutta. Ma d’altronde è facile capire che lo spostamento spaziale di certi organi non è la stessa cosa della nascita di nuovi organi: come si sono formati le complesse unioni di geni che contengono il progetto costruttivo dei singoli apparati (come già detto quello che interessa la costruzione dell’occhio è un insieme coordinato di circa 2500 geni)? Perciò la fiducia riposta dagli autori su questi geni omeobox a mio avviso appare un tantino eccessiva, anche se il loro approccio riguardo ai cambiamenti strutturali è un po’ meno 'primitivo' rispetto a quello neo-darvinista che è invece fermo alle variazioni casuali all’interno dei singoli geni. Però gli autori ci tengono a ribadire che rifiutano ogni tipo di finalismo, e confermano la loro ferma convinzione che li accomuna ai neo-darwinisti (vedi Dawkins con il suo best-seller - l’orologiaio cieco) che i cambiamenti sarebbero senza scopo, appunto ciechi: ci sarebbe poi la selezione a eliminare quelli non adatti.
Vediamo una rassegna di alcune affermazioni fatte dai due autori.
In questo passo criticano l’impostazione neo-darwinista:
"Il carattere ‘cieco’ delle variazioni interne per mutazione è in effetti una componente preminente del quadro neo-darwinista (vedi Dawkins 1986). L’ottenere molto (molte forme di vita altamente complesse) da molto poco ( una fonte cieca di diversità) dovrebbe essere la gloria del neo-darwinismo(..). In breve si postula che la variazione interna per mutazione sia strettamente casuale rispetto all’ambiente di selezione; non c’è ‘sguardo in avanti nel decidere quali mutazioni produrre. Siamo disposti a concederlo (!), anche se l’epigenetica (branca che si occupa dello studio della gerarchia dei geni – nota mia) qualche volta sembra far trasparire una storia molto differente". (6)
Invece nel brano successivo rifiutano ancora una volta la selezione naturale come principio base dell’evoluzione, ritenendo che l’evoluzione sia dovuta invece soprattutto a fattori interni agli organismi (endogeni) e non esterni (esogeni):
“Contrariamente all’opinione tradizionale bisogna sottolineare che la selezione naturale tra tratti generati in modo casuale non può essere il principio base dell’evoluzione. Devono esserci vincoli endogeni forti, spesso decisivi, e schiere di regolazioni delle opzioni fenotipiche (le diverse forme dell’aspetto fisico – nota mia) su cui opera la selezione esogena. In questo senso per noi la selezione naturale è come accordare il pianoforte, non come comporre delle melodie” (7)
Nel passo successivo ribadiscono il loro credo evo-devo, la branca di ricerca sull’evoluzione che riunisce la biologia evolutiva con la biologia dello sviluppo embrionale. Siccome sono stati scoperti dei geni ‘regolatori’, i cosiddetti geni master hox, che decidono dove e quando si devono formare gli organi per costruire organismi completi delle diverse specie ed è dimostrato che si sono conservati intatti per centinaia di milioni di anni passando indenni da una specie all'altra, l’evo-devo ritiene che piccole variazioni negli inneschi o nei silenziamenti di questi geni possano rendere possibili i cambiamenti macroevolutivi che avvengono durante lo sviluppo dell'embrione:
"La rivoluzione evo-devo ci dice che nulla nell’evoluzione ha senso se non alla luce della biologia dello sviluppo (…). Un caso paradigmatico è quello della formazione dell’occhio in specie distanti, che si suppone abbia avuto luogo in modo convergente (quindi organi analoghi nati in maniera indipendente senza rapporto filogenetico) e indipendente molte volte nel corso dell’evoluzione (almeno cinque volte, forse molte di più). Ma allora con la scoperta degli stessi geni master per lo sviluppo dell’occhio (in particolare Pax3, Pax2, Pax6 e Dach) in classi e specie molto distanti (dal riccio di mare dove i geni restano inespressi, alle meduse, ai moscerini della frutta, ai vertebrati) la scena evolutiva è cambiata moltissimo." (8)
Quindi in pratica, per i seguaci della teoria dell’evo-devo, l’evoluzione consisterebbe essenzialmente non in una variazione casuale e puntiforme in parti qualunque del DNA come invece sostengono i neo-darwinisti, ma in variazioni nel silenziamento o nell'espressione dei geni master, quelli che regolano lo sviluppo durante l’ontogenesi e gestiscono la formazione e crescita dell’embrione. Prova ne sarebbe il fatto che questi geni master si trovano praticamente uguali in specie diverse, da quelle più 'semplici' a quelle più 'complesse', con piccole variazioni consistenti nella presenza o meno di domini di repressione o di attivazione. Ciò comporta un cambiamento radicale rispetto all’impostazione neo-darwinista: infatti l'evoluzione sarebbe causata, più che da variazioni dei geni regolatori, dal cambiamento nella loro 'espressione': questo fatto si ripercuoterebbe in mutazioni durante l’ontogenesi (l’intero processo di costruzione che va dall’uovo fecondato all'organismo completo) con lo sviluppo di nuove forme fenotipiche, che vengono però filtrate durante il processo di costruzione - nel senso che sopravvivono solo quelle compatibili con i filtri regolatori interni (che sono parecchi, come vedremo…). La selezione fatta dall’ambiente esterno sarebbe quindi secondaria, di minore importanza, e agirebbe solo su questi nuovi fenotipi 'sopravvissuti' ai filtri endogeni (nota: nel discorso riportato in seguito per fenotipo si intende essenzialmente la struttura fisica dell’organismo, per genotipo la struttura del genoma e per ontogenesi il processo di sviluppo e costruzione che dalla fase embrionale porta all'organismo completo):
“Il modello classico del neo-darwinismo rappresentava le conseguenze manifeste (fenotipiche) dei cambiamenti interni dei geni (varianti genotipiche) come una freccia a una sola dimensione che va dai genotipi ai fenotipi. In sostanza astraeva da tutti gli effetti dello sviluppo su tratti visibili, a parte gli effetti delle mutazioni genetiche, che erano considerate a loro volta indipendenti l’una dall’altra. Ma i filtri interni relativi allo sviluppo da cui il neo-darwinismo cercava così tenacemente di astrarre ora sembrano sempre di più trovarsi invece proprio al cuore dell’evoluzione. Genotipi e fenotipi continuano a contare ovviamente; ma la rivoluzione evo-devo ha messo in evidenza che l’evoluzione è essenzialmente l’evoluzione della freccia che li collega. Lo slogan è: l’evoluzione è l’evoluzione delle ontogenesi. In altre parole, l’intero processo dello sviluppo, dall’uovo all’adulto, modula gli effetti fenotipici dei cambiamenti genotipici, e quindi ‘filtra’ le opzioni fenotipiche fra le quali le variabili ecologiche hanno qualche possibilità di operare una selezione” (il sottolineato è mio ) (9).
Però
come si vedrà nel post
successivo, basta scorrere la lista dei complicatissimi rapporti
organizzativi genetici che si mettono in gioco per lo sviluppo
dell’embrione e soprattutto degli apparati di controllo ‘qualità’,
che non permettono e anzi eliminano variazioni dannose, e
di cui fra l'altro parlano gli stessi autori,
per capire due cose: i sostenitori dell’evo-devo,
criticano l’impostazione neo-darwinista che considera la
selezione naturale come motore dell’evoluzione, ma
non risolvono
il problema di fondo
della (ipotizzata)
evoluzione, cioè quello del
come si sarebbero
formati questi geni master e perchè sono rimasti immutati per milioni di anni, e come sarebbero nati i
moduli costruttivi, gli insiemi di geni che costituiscono
le istruzioni per costruire un organo con tutti i suoi annessi e
connessi (cioè con nervi, vasi sanguigni e collegamenti con altre parti e funzioni del corpo). Il fatto che una variazione nell'attivazione o repressione dei geni di
controllo può fa nascere un organo in una parte diversa
dell’organismo, ottenendo mutanti mostruosi, come dimostra in sintesi l'evo-devo (con esperimenti in cui magari delle zampe vengono fatte spuntare al posto dell'apparato buccale nella testa del povero moscerino della frutta), non può automaticamente portare ad affermare che ciò alla lunga può causare la nascita di nuovi organi e nuove funzioni. E inoltre, cosa non meno importante, l'evo-devo non risolve il problema di come saebbero nati questi
geni, sia quelli master di controllo che quelli strutturali.
(continua)
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Note e crediti
(0) la foto è tratta da Pixabay.com
(1) Massimo Piattelli Palmarini e Jerry Fodor – Gli errori di Darwin – Feltrinelli 2010 a pag. 12
(2) Massimo Piattelli Palmarini e Jerry Fodor - opera cit. a pag 11
(3) Massimo Piattelli Palmarini e Jerry Fodor - opera cit. sempre a pag 11
(4) Massimo Piattelli Palmarini e Jerry Fodor - opera cit. a pag 12
(5) T. S. Kuhn – La struttura delle rivoluzioni scientifiche – 1970
(6) Massimo Piattelli Palmarini e Jerry Fodor - opera cit. a pag 29
(7) Massimo Piattelli Palmarini e Jerry Fodor - opera cit. a pag 25
(8) Massimo Piattelli Palmarini e Jerry Fodor - opera cit. a pag 27
(9) Massimo Piattelli Palmarini e Jerry Fodor - opera cit. a pag 33
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