“La scoperta principale dell’evo-devo è stata la notevole invarianza dei ‘mattoni’ genetici dell’evoluzione. Geni master ben conservati possono passare indenni per centinaia di milioni di anni di evoluzione, perciò è possibile eseguire esperimenti che presentino aspetti di ‘salvataggio’ genetico. Questo vuol dire che una variante ‘sana’ di un dato gene, se opportunamente inserita nell’embrione a uno stadio iniziale e poi attivata, può compensare efficacemente una variante ‘difettosa’ dello stesso gene (salvando la funzione del gene) (…). Quel che è veramente straordinario è che questo salvataggio genetico possa verificarsi anche fra organismi di specie distanti, il che illustra sia l’estrema complessità delle relazioni tra genotipo e fenotipo sia la realtà della conservazione dei geni lungo i tempi dell’evoluzione. Per esempio, la versione standard, che si presenta in natura, di uno specifico gene del moscerino della frutta è in grado di ‘salvare’ un gene difettoso del topo, e viceversa. Gli esempi della corrispondenza funzionale stretta fra geni di specie distanti sono troppo numerosi per poterli elencare” (1).
E ancora:
“Ci sono dunque delle invarianti nella dinamica dello sviluppo di forme animali evolutivamente distanti, e ci sono anche molte specificità genetiche che si conservano da phylum a phylum e da specie a specie (…) . Secondo il nobel Nusslein-Volhard: ‘Questa notevole conservazione [di geni e complessi di geni] è stata una grande sorpresa. Non era stata prevista ne immaginata’ ” (2).
“I dati sulla notevole conservazione dei geni sono, comunque, incontrovertibili, e crescono costantemente, in quantità e dettagli” (3)
Questa notevole conservazione dei geni master a mio avviso è un ulteriore colpo assestato dagli evoluzionisti che si riconoscono nell’evo-devo al neodarwinismo, che si basa sulle variazioni casuali in qualunque parte del genoma. Fra l’altro i tassi di mutazione non sono gli stessi in tutte le parti del genoma ed esistono potenti meccanismi di controllo e correzione che fanno in modo che la stabilità e l’immutabilità di certe zone siano assicurate, perché un loro cambiamento comprometterebbe la stessa sopravvivenza dell’organismo e quindi non può accadere e anche nel caso dovesse succedere non verrebbe però trasmesso a discendenti per il semplice fatto che l’organismo non sopravviverebbe.
Un esempio di gene master e della sua intercambiabilità tra specie è il gene eyless.
Se il gene eyless, il master che comanda la costruzione dell’occhio, viene prelevato dal topo e trapiantatodal nel moscerino, in quest’ultimo si svilupperà un occhio, anche se di moscerino e non di topo, perché il moscerino possiede il modulo di costruzione dell’occhio del moscerino (composto da circa 2000 geni) e non del topo.
Un altro esempio è il master della formazione delle zampe.
Mentre nei crostacei sono presenti zampe in ogni parte del corpo, nei moscerini l’addome ne è privo.
E’ stato provato che il complesso ubx, che gestisce la formazione dell’addome, negli onicoferi, che sono considerati i progenitori di crostacei e insetti, è composto dal solo dominio hox, nei gamberi è formato dal dominio hox, ma anche da un dominio di soppressione delle zampe e dal dominio S/T che inibisce tale dominio di soppressione delle zampe (in pratica ciò permette la formazione delle zampe nell’addome), mentre negli insetti è composto sempre dal domino hox, dal dominio di soppressione delle zampe e, invece del dominio S/T, dal dominio che intensifica l’effetto di inibizione della formazione delle zampe (in pratica ciò impedisce la formazione delle zampe nell’addome). Si è introdotto il complesso ubx del gambero o del moscerino in larve di moscerino, nella zona che codifica per il torace (e non in quella che codifica per l’addome che è la sua sede naturale) . Dopo ciò il torace delle larve somigliava all’addome con questa differenza: l’ubx del moscerino inibiva lo sviluppo delle zampe, mentre l’ubx del crostaceo non aveva questo effetto. Tutto ciò è stato interpretato dagli evoluzionisti come il fatto che col tempo ci sarebbe stata una trasformazione dell' ubx con l’effetto di ridurre a tre il numero delle zampe del progenitore degli insetti (4).
C’è chi ha anche ipotizzato l’esistenza di un genoma universale che codificherebbe tutti i programmi di sviluppo, e che sarebbe presente in tutte le specie anche le più primitive, ovvero in quelle ‘iniziali’ dal punto di vista del supposto albero 'evolutivo'.
Ad esempio nel riccio pur essendoci lo stesso genoma universale, ci sarebbe una parte non espressa e quindi per questo ad esempio esso non sviluppa gli occhi o il sistema immunitario.
Ma se fosse vero ciò, diventerebbe molto arduo supporre che possa essere spuntato per caso un genoma ‘primitivo’ così complesso che aveva in se tutte le potenzialità che si sarebbero espresse nel futuro, dopo molto tempo. Tutto ciò a mio avviso sarebbe più un poderoso punto a favore del ‘disegno intelligente’ e del finalismo che del casualismo evoluzionista!
“Addirittura c’è chi ha ipotizzato (M. Sherman 2007) l’esistenza di un ‘genoma universale’ che codifica tutti i programmi di sviluppo principali, essenziali per vari phyla di metazoi che sono emersi in un organismo unicellulare o multicellulare primitivo poco prima del Cambriano. I phyla dei metazoi, che hanno tutti genomi simili, sono comunque diversi perché utilizzano combinazioni specifiche di programmi di sviluppo. Da questo modello arrivano due previsioni fondamentali: la prima, che una frazione significativa dell’informazione genetica nei taxa inferiori deve essere funzionalmente inutile, ma diventa utile nei taxa superiori; in secondo luogo, che si deve poter attivare nei taxa inferiori qualcuno dei programmi di sviluppo complessi latenti, per esempio un programma di sviluppo dell’occhio o la sintesi di un anticorpo nel riccio di mare” (5).
Quindi in pratica per i sostenitori dell’evo-devo e critici del neo-darwinismo, in milioni di anni i geni come l’ubx o l’eyeless si sarebbero mantenuti costanti, protetti da variazioni casuali, e nel contempo o sarebbero spuntati casualmente e successivamente degli interruttori, o gli stessi geni master si sarebbero trasferiti in altre parti del genoma causando così la crescita o la soppressione di certi organi in parti diverse del corpo. Si spiegherebbe così la ‘macroevoluzione’ con la nascita di nuove specie.
Ma il problema nascosto in questa affermazione è che ad esempio una cosa è parlare di soppressione o spostamento delle zampe o degli occhi, un’altra invece spiegarne la formazione: cioè come sono nati i moduli strutturali, cioè le 'ricette' che si occupano della effettiva costruzione delle zampe o quello degli occhi? L’evo-devo non lo dice. E siccome per la macroevoluzione è necessario che saltino fuori i moduli di costruzione di nuovi organi (o di nuove funzioni), se non viene spiegato come questi moduli possono essersi formati allora non si può dire che sia stato scoperto il meccanismo macroevolutivo. Il semplice spuntare casuale di geni di controllo e gestione spazio-temporale che si occupano su dove gli organi devono crescere infatti è ben diverso della nascita ex-novo di questi organi!
La conclusione degli autori alla luce di quanto detto perciò appare forse un po’ imprudente e comunque molto speculativa:
“Ammettiamo che esistano casi a prima vista plausibili di convergenza evolutiva non spiegabili con un ascendente comune. Esistono poi casi a prima vista plausibili di adattamento morfologico e comportamentale con tutta probabilità causati da cambiamento ambientale (microevolutivi però… - nota mia). Tuttavia i progressi recenti nell’evo-devo mostrano che la convergenza fenotipica è più spesso l’effetto di invarianti genetici e dello sviluppo. Inoltre, sono stati trovati parecchi esempi, alcuni replicati anche in laboratorio (si tratta degli esperimenti sul moscerino della frutta di cui abbiamo parlato sopra - nota mia ), di differenze notevoli delle forme di arrivo prodotte da leggere variazioni nella regolazione degli stessi complessi di geni o nella cronologia di attivazione di questi complessi. La conseguenza interessante è che l’enorme varietà di forme di vita attuali e fossili non solo è pienamente compatibile con l’elevata conservazione dei geni (sic!), ma è anche pienamente spiegata da questi (ma davvero? - nota mia). E’ spiegata in altre parole dal complesso intreccio di conservazione genetica e variabilità delle regolazioni dei geni, a vari livelli” (6).
Ma
come già detto, ed è utile ribadirlo, il fatto che si siano potuti
far nascere degli organi preesistenti in parti del corpo diverse rispetto alla
loro sede naturale, ottenendo così dei mutanti mostruosi e
privi di utilità funzionale e quindi senza vantaggio selettivo, non
dimostra né permette di inferire che la macroevoluzione possa essere
stata causata da variazioni casuali di questi complessi, tipo l’ubx:
infatti, ripeto, è una cosa è ottenere ex novo un organo, altra cosa, più
banale è lo spostamento spaziale di un organo preesistente. La cosa
è evidente, eppure gli evo-devisti asseriscono di aver scoperto con questo meccansmo il vero motore dell’evoluzione. Ma
questa loro asserzione sembra poco sostenibile e in definitiva priva di vere prove sperimentali, a meno che non si debba ritenere che microevoluzione e macroevoluzione siano lo stesso fenomeno.
(continua)
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Note e crediti
(0) la foto è tratta dal sito Pixabay.com
(1) Massimo Piattelli Palmarini e Jerry Fodor – Gli errori di Darwin – Feltrinelli 2010 a pag. 34
(2) Massimo Piattelli Palmarini e Jerry Fodor – opera cit. a pag 36
(3) Massimo Piattelli Palmarini e Jerry Fodor – opera cit. a pag 37
(4) Junker e Scherer – Evoluzione – un trattato critico – Certezze dei fatti e diversità delle interpretazioni - Ed. Gribaudi 2007 a pag. 93.
(5) Massimo Piattelli Palmarini e Jerry Fodor – opera cit. a pag 35
(6) Massimo Piattelli Palmarini e Jerry Fodor – opera cit. a pag 38
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