Ho
letto un articolo sul decadimento culturale dei giovani di oggi.
L’autore sostiene che da quando è stato messo in commercio e
si è diffuso lo smartphone, cioè dal 2007, è iniziato il crollo dell’impegno nello studio da parte delle nuove generazioni. Io ritengo che in realtà il
processo sia cominciato prima, con il sessantotto e il
conseguente rilassarsi delle norme sulla disciplina soprattutto in ambito scolastico, e poi è proseguito trovando impulso
ulteriore con internet e la diffusione dei
personal computer, che hanno permesso la navigazione in rete.
Intendiamoci,
la possibilità attuale di poter attingere facilmente ad una
biblioteca quasi illimitata di notizie non è del tutto negativa,
anzi, però il problema è che siccome in rete si può trovare
praticamente tutto e il contrario di tutto, quindi la verità e la
menzogna, spesso mischiate, occorre possedere un po’ di spirito
critico e una certa base culturale che permetta di riconoscere quando
qualcosa che si legge può essere inventato o può non corrispondere
alla realtà. Ed è questo humus culturale e questa capacità di
giudizio che i giovani di oggi non hanno acquisito, vuoi per l’età,
ma anche per il ritardo con cui il sistema scolastico ha tentato di
costruire questa capacità. Forse i cambiamenti sono stati troppo
rapidi, ma dobbiamo cercare di porre rimedio perché è la nostra
civiltà che rischia.
A
mio avviso dovremmo mettere da parte il buonismo e fare capire ai
giovani che la vita è dura e che si possono accampare diritti è
anche vero che per prima cosa vengono i doveri. Infatti pare che un
atteggiamento suicida della nostra società abbia sovvertito questo
principio fondamentale di ‘conservazione dell’energia economica e
della neghentropia tecnologica’: se si vuole consumare qualcosa
bisogna in primis produrla e ciò ha come conseguenza
logica e naturale che il diritto scaturisce da un dovere: quello prima di
lavorare e poi di consumare. Noi siamo i discendenti di quelli che il Paradiso terrestre
lo hanno perduto, non scordiamocelo.
E
come dice il famoso proverbio? ‘Chi non lavora allora neanche
mangi’ e lo sosteneva anche San Paolo. Ovviamente qualcuno dirà
che non c’è lavoro o che esso scarseggia. Sì è vero, ma qui per
lavoro intendo darsi da fare, studiare, creare, riflettere, pregare,
usare insomma le facoltà superiori in qualunque circostanza ci si
trovi, mentre l’impulso della nostra parte animale ci porta spesso
alla sola ricerca della del soddisfacimento dei bisogni materiali. Questo
significa non solo non darsi alle gozzoviglie,
ma condurre una vita morigerata, perché se la parte istintiva, che è
molto forte nella giovane età, prende il sopravvento, arriva a
sovrastare fino a spegnerla la volontà di salire e progredire,
soprattutto spiritualmente. Insomma al vizio bisogna senz’altro
preferire la virtù, per dirla in maniera scolastica, alla San
Tommaso D’Aquino.
Insomma, niente da fare, la dottrina millenaria cristiana è sempre lì,
attuale e intramontabile come non mai, a ricordarci che se l’uomo
vuole diventare perfetto è a Gesù Cristo che deve cercare di
assomigliare: non rifiutare quindi la propria croce, che
inevitabilmente la vita in un modo o nell’altro assegna, ma in
qualunque situazione ci si trovi, impegnarsi, lavorare e
sacrificarsi, per migliorare se stessi e il mondo che ci circonda,
cercando fra l’altro di aiutare il prossimo che ci accompagna in
questo pellegrinaggio terreno.