“Mangiare i tortellini con la prospettiva del Paradiso rende migliori i tortellini!” (cardinale Giacomo Biffi)
Mi considero fortunato nel possedere la Fede. Ogni evento della vita, dal più semplice al più complicato, dal più lieto al più drammatico, sotto la sua luce assume un aspetto diverso, e ogni cosa che avverto con i sensi mi appare colorata e intensa anziché grigia e sbiadita. E la la frase del cardinale Biffi su riportata spiega in maniera semplice ed efficace il perché.
In effetti affermo ciò anche perché posso fare un confronto personale con la mia situazione precedente, quando non ero credente. Prima le difficoltà della vita erano fini a se stesse, senza particolare significato tranne il fatto di considerarmi sfortunato per il fatto che capitavano giusto a me, e spesso però mi portavano alla disperazione, ma dopo che mi sono convertito, i problemi della vita sono venute fuori lo stesso, ma il fatto di essere credente mi ha dato un aiuto in due modi: nel considerarle passeggere e un nulla in confronto alla felicità futura e nel poter chiedere aiuto al Cielo per superarle. L’angoscia del vivere che si intrufolava spesso nella mia mente, adesso non ha diritto di esistere e se prova ad insidiarsi, ha vita effimera, subito viene sfrattata pensando al Cielo futuro e all’amore infinito di Dio. Certo c’è il timore dell’inferno, ma questo serve anche come stimolo per agire in modo da evitarlo.
E alle volte provo a mettermi comunque nei panni di chi non crede, quelli dell’ateo. Per un attimo cerco di immaginare che la mia esistenza possa finire definitivamente con la morte, scomparendo per l’eternità. Ma il solo pensiero di ciò diventa immediatamente intollerabile e subito lo abbandono tanto è insopportabile a causa della profonda angoscia che genera, e mi domando come facciano a vivere bene quelli che hanno questa convinzione. Se glielo chiedo, accampano per risposta delle giustificazioni a mio parere poco credibili, di solito dicono che la natura è fatta così e che quindi per loro va bene in questo modo, e che quello che importa è continuare ad esistere nel pensiero dei propri cari, ma queste io le considero solo frasi fatte a cui ricorrono per rendere più tollerabile a sè stessi l’inaccettabile, affermazioni consolatorie di cui non sono minimamente convinti messe in campo perché non si sa che dire. A mio avviso è una cosa ovvia che abbiano dentro di sè, conscia o inconscia, la disperazione che porta il convincimento della fine eterna dell’esistenza. Una conseguenza di ciò è che di solito essi preferiscono rimuovere il pensiero della morte, perché quando c’è provoca una sensazione intollerabile.
So che a questo punto gli atei ribatteranno che proprio per evitare questa angoscia il credente si 'inventa' un Dio, ma tracurano un particolare: quello che fa la differenza è il “sentire dentro”.
Chi ha fede infatti, a mio parere, in un preciso momento della sua vita ha avuto un incontro,
ha avvertito dentro di sé l’Altro da sé. Magari non nella maniera di
San Paolo sulla via di Damasco, ma l'ha avuto. E ha sentito anche una
corrispondenza. Si è instaurato insomma un rapporto d’amore, un dialogo
che sente esserci con una Persona ben reale. E la preghiera, l’offerta,
il sacrificio, il desiderio di comportasi correttamente, il provare
dolore per aver peccato sono una conseguenza di questo rapporto d’amore
tra creatura e Creatore che il credente ha nel suo cuore. E questo
rapporto riempie di pace, di serenità e di gioia.
L’ateo e l’agnostico invece mancano di questo evento fondamentale e
decisivo, perchè non lo hanno ancora avuto o perchè lo hanno rifiutato.
Di conseguenza hanno il ‘cuore’ come muto e ciò li porta a pensare che
Dio non esista. Essi hanno le ‘orecchie’ e gli ‘occhi’ spirituali
chiusi, non sentono il richiamo che Dio fa loro continuamente, perchè
la comunicazione risulta interrotta. Loro malgrado sono perciò come dei
ciechi che non riescono a vedere la luce che illumina tutto.
L’ateo e l’agnostico infatti osservano la natura e magari restano
affascinati dalla sua perfezione, e possono anche prendere in
considerazione i fenomeni straordinari, anche se con sospetto, ma quello
che fa la differenza in questa visione rispetto a quella del credente è
la presenza o meno della luce Divina. E’ come se l’ateo e l’agnostico
guardassero il creato in bianco e nero e il credente a colori.
E ritornando al discorso dello 'scomparire per sempre con la morte', quando
gli atei dicono ‘sono felice’ io non ci credo, a mio parere con questa affermazione vogliono illudere solo se stessi.
Quello che asseriscono non può essere vero, perché la prospettiva della
scomparsa totale dall’esistenza e la felicità cozzano tra loro in
maniera inesorabile. A questo punto mi verrebbe di chiedere: “come
mai l’evoluzione a cui credete tanto e che seleziona anche
‘bisogni’ e ‘desideri’ con lo scopo di aumentare le chance
di vita e riproduzione, ha fatto in modo che spuntasse e permanesse
in noi il desiderio di vivere per sempre?” Se non è possibile
soddisfare questo desiderio che ci accompagna durante tutta la vita, e che cresce man mano che ci avviciniamo al suo termine, allora
siamo gli esseri più sfortunati dell’Universo, con una ‘voglia’
impossibile da soddisfare in ambito materiale. La Natura, in questo
caso veramente matrigna, a che scopo ci avrebbe tirato questo brutto
scherzo? Solo per renderci infelici?
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Note e Crediti
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