10 maggio 2022

L’ Entanglement quantistico spiegato facile (o almeno ci provo...)

Da quando è nata, la Meccanica quantistica  non ha finito di sorprendere a causa delle sue scoperte sul comportamento un po’ bizzarro del mondo microscopico.

Una di queste riguarda il fatto che ogni componente atomico o subatomico, quale per esempio un fotone o un elettrone, fino a quando non viene sottoposto ad una misura che lo costringe a sceglierne una precisa, di solito possiede una natura ambivalente e indefinita composta da due realtà incompatibili ma ‘compresenti’ tipo: bianco/nero, verticale/orizzontale, in su/in giù, a destra/a sinistra, particella/onda.

 

 

Tutti da piccoli abbiamo giocato con una corda tesa che mettavamo in oscillazione divertendoci nel veder viaggiare su di essa delle onde. Queste potevano propagarsi oscillando in un piano verticale se muovevamo la mano dall’alto in basso e in orizzontale se la muovavamo parallelamente al terreno. Nel primo caso, come si suol dire in fisica, le onde sono polarizzate verticalmente, diciamo di tipo V, nel secondo orizzontalmente, di tipo O. Se volevamo farle passare oltre una fenditura verticale, le prime, quelle di tipo V, sarebbero passate indenni, le seconde, di tipo O, no, non sarebbero passate, sarebbero state ‘distrutte’ dall’ostacolo. Cambiando continuamente e a caso il piano di oscillazione della mano ne venivano fuori delle onde che viaggiavano ognuna nel proprio piano, verticale, orizzontale oppure intermedio, in piani quindi con giaciture diverse: il ‘treno’ d’onde non risultava polarizzato. In questo caso se le volevamo far passare attraverso una fenditura, supponiamo verticale, sarebbero passate indenni quelle di tipo V, per niente quelle di tipo O, mentre quelle di tipo intermedio sarebbero passate ‘smorzate’, cioè avrebbe attraversato la fenditura solo la ‘proiezione’ della loro oscillazione rispetto alla verticale.

 

Ebbene, se si ripete lo stesso esperimento con la luce, che è composta da campi elettrici e magnetici oscillanti (che risultano sempre vibrare in direzioni perpendicolari sia tra loro che rispetto alla direzione di propagazione), e si usa quella polarizzata, in cui cioè il campo elettrico oscilla sempre sullo stesso piano fissato, ad esempio verticale o orizzontale, o intermedio, e si mette una fenditura, la situazione si ripete in maniera analoga a quella delle onde nella corda.



Il problema nasce nel momento in cui si considera che per la meccanica quantistica la luce è composta da onde/particelle chiamate fotoni (e anche in ciò si vede come questi enti abbiano una natura composta da due caratteristiche incompatibili, l’onda e il corpuscolo). Se si usa della luce con polarizzazione intermedia, diciamo con il campo elettrico che oscilla a 45°, sappiamo che se usiamo una fenditura verticale passa solo una parte di questa luce, di intensità pari alla metà di quella originaria, ma con la stessa frequenza. Ci si chiede cosa succede al fotone quando incontra la fenditura. Il fatto è che esso è indivisibile e inoltre rimane con la stessa energia di prima, poiché dopo che è passato non cambia la frequenza di oscillazione, quindi non si può pensare che passi solo una parte di esso, ad esempio la sua metà: perciò dobbiamo supporre, e in effetti è così, che o passa o non passa. L’unico modo allora per spiegare il fenomeno conservando l’integrità del fotone è quello di dire che metà dei fotoni che compongono il fascio passa oltre la fenditura mentre l’altra metà no (che invece viene assorbita dall’ostacolo). Il vero problema è però che tutti i fotoni all'inizio erano nello stesso stato, preparati da una sorgente polarizzatrice nello stesso modo, oscillanti su un piano a 45°, e perciò ci si chiede cosa fa decidere a un fotone se passare o no per la fenditura verticale? Ebbene, per la meccanica quantistica la cosa avviene casualmente, con probabilità del 50% per ognuna delle due opzioni, questo significa che il fotone prima di incontrare la fenditura è in uno stato composto da due stati 'incompatibili', quello con polarizzazione V e quello con polarizzazione O, e in questo caso ambedue con lo stesso ‘peso probabilistico’. Faccio notare che questa affermazione non è una resa, un’ammissione di ‘non conoscenza’ rispetto al vero stato del fotone che magari invece sarebbe di suo già, anche se casualmente, in uno stato ben definito, tale da fargli poi assumere con l'incontro della fenditura la polarizzazione V oppure O, ma è un’asserzione perentoria sulla natura effettiva del fotone: esso è ‘contemporaneamente’ con polarizzazione V e O pur essendo questi stati incompatibili! 

Questo distingue la meccanica quantistica dalla teoria a variabili nascoste: i sostenitori di quest’ultima affermano che noi abbiamo una visuale imperfetta del vero stato dei fotoni, non ne conosciamo alcune variabili, dette appunto ‘nascoste’, e se fossimo capaci di 'guardarle' esse ci direbbero senza ombra di dubbio se il fotone prima dell’incontro con la fenditura ha delle caratteristiche che poi gli faranno assumere con certezza lo stato V oppure O. 

Insomma, la meccanica quantistica, per gli oppositori, sarebbe ‘incompleta’, perché non conosce e non esplicita certe variabili ‘nascoste’ che possono determinare il comportamento futuro dei sistemi e per questo è costretta a fare solo previsioni probabilistiche, mentre al contrario per i suoi fan essa sarebbe l'unica possibile e vera descrizione del comportamento futuro dei sistemi microscopici (ad esempio tramite l’equazione di Schrodinger o quella relativistica di Dirac), proprio perché la natura effettiva di tali sistemi è indefinita, 'ambivalente' e quindi indecisa fino a quando non si esegue su di essi una misura. Per la meccanica quantistica quindi l’unica cosa che si può dire con certezza sul mondo microscopico è quale sarà il suo comportamento futuro in termini di probabilità. 

In sintesi: per la teoria a variabili nascoste, che rispecchia lo stesso paradigma di descrizione che usiamo nel mondo macroscopico, cioè quello ‘classico’, il fatto che si prevedano probabilità di certi comportamenti (del tipo probabilità che passi, probabilità che non passi), deriva dalla nostra conoscenza incompleta dello stato iniziale del sistema (un po’ come succede nelle previsioni del tempo atmosferico), mentre secondo la meccanica quantistica non ci sono variabili nascoste e le probabilità sono ‘essenziali’, inerenti la natura stessa del mondo microscopico, e quindi costituiscono anche le sole possibili previsioni sul comportamento futuro del sistema. 

Per tirare le somme quindi, per quelli che non l'accettano, e Einstein era uno di questi, la meccanica quantistica sarebbe ‘incompleta’ e probabilistica per necessità, mentre il mondo reale è determinato, invece per quelli che la  ritengono vera, la meccanica quantistica, anche se probabilistica, sarebbe  però ‘completa’ in quanto il mondo reale è per sua natura normalmente indeterminato, almeno fino a quando non lo costringiamo tramite un processo di misura ad assumere un dato stato, preciso e definito, (processo detto ‘riduzione del pacchetto d’onda’), acquisendo così, ad esempio, certezza sul valore di una grandezza (come la sua posizione o il tempo), ma con la perdita completa dell'informazione sul valore della grandezza complementare (come l'impulso o la sua energia).

Gli scienziati Einstein, Podolsky e Rosen formularono nel 1935 il paradosso EPR (chiamato così dalle iniziali dei loro nomi), con cui sostenevano che se la meccanica quantistica fosse vera, e cioè completa, allora i fenomeni fisici sarebbero ‘non locali’, cioè gli enti si influenzerebbero a distanza istantaneamente, quasi fossero dotati di potere telepatico, e questo mentre sappiamo dalla relatività che i segnali non possono propagarsi a velocità infinita ma solo al più con la velocità della luce, che è quella massima possibile.

Vediamo più in dettaglio con un esempio in cosa consiste questo paradosso EPR.

Due fotoni possono essere prodotti accoppiati riguardo alla polarizzazione, cioè in maniera cosiddetta ‘entangled’, ad esempio ambedue con polarizzazione verticale, quindi sinteticamente nello stato collettivo (V,V) dove la prima V si riferisce al primo fotone e l’altra V riguarda il secondo, oppure entrambi con polarizzazione orizzontale, cioè nello stato di coppia (O, O). Il problema è cercare di capire se passeranno o no attraverso una fenditura, per esempio verticale, quando vengono prodotti ambedue a 45°, cioè nello stato (45°, 45°). Siccome i due fotoni sono ‘accoppiati’ dal punto di vista della polarizzazione, sono appunto ‘entangled’, gli esperimenti confermano che essi la fenditura la passeranno o non la passeranno in maniera concorde, cioè non succede mai  che uno passi e l’altro no.

La cosa si rende evidente allo stesso modo anche se i due fotoni vengono fatti viaggiare in versi opposti e costretti a passare attraverso due fenditure verticali distinte: o passano entrambi o ambedue non passano, e questo accade qualunque sia la loro distanza reciproca finale e qualunque sia l’istante di tempo in cui viene eseguita la seconda misura: anche se una viene fatta in un certo momento su un fotone e qualche istante dopo si esegue l'altra sull’altro fotone che si trova a distanza di 10 km, il risultato sarà identico. A causa della  anche lunga distanza di separazione e del corto intervallo temporale tra le due misure, si deve escludere che il primo abbia potuto inviare un segnale al secondo fotone comunicandogli così lo stato di polarizzazione assunto, perché tale segnale dovrebbe viaggiare con velocità superiore a quella della luce.

Allora ci possono essere solo due alternative: o i fotoni sono entrambi già prima della misura in uno stato tale che essi devono per forza assumere la condizione (V,V) o in alternativa la (O,O), e in tal caso la meccanica quantistica che sostiene il contrario non sarebbe una teoria completa della realtà perché gli mancherebbe la conoscenza delle ‘variabili nascoste’ e per questo motivo potrebbe fare solo previsioni probabilistiche, oppure i fotoni sono inizialmente veramente nello stato misto (V,V) + (O,O), cioè in uno stato composto da due sottostati incompatibili (V,V) e (O,O), ma decidono ‘assieme’ solo durante l'incontro della fenditura quale tra i due stati,  (V,V) oppure (O,O),  assumere, e in tal caso la meccanica quantistica, che afferma proprio questo, sarebbe completa ma i fenomeni fisici sarebbero non locali per loro natura, cioè gli enti potrebbero ‘influenzarsi’ a distanza in un lasso di tempo nullo.

In pratica se la meccanica quantistica è vera si dovrebbe ammettere l’esistenza di una specie di ‘telepatia’ tra gli enti fisici, cioè la non località.

In questo consiste il paradosso EPR. Ad esso i sostenitori della interpretazione ortodossa della meccanica quantistica risposero sostenendo l’impossibilità di eseguire nella pratica un esperimento 'entangled', cioè un’esperienza che potesse confermare o smentire tale comportamento ‘bizzarro’ e inaccettabile per qualunque fisico del tempo.

Bohr provò poi dopo alcuni mesi a rispondere ad Einstein, ma nonostante i fisici del tempo avessero pensato in un primo momento che Bohr avesse vinto lo scontro, successivamente si ammise che la sua replica non poteva essere considerata chiara e risolutiva. E d’altronde per le conoscenze del tempo non poteva essere altrimenti. E infatti grandi scienziati fra cui lo stesso Einstein e Bell hanno dichiarato di non averla capita. Il fisico Ghirardi, dopo aver riportato la replica di Bohr, dice: “Mi sembra superfluo sottolineare l’oscurità di questo passo. Esso contiene una serie di punti che, come ha lucidamente puntualizzato Bell, risultano del tutto incomprensibili”1.

In effetti a quel tempo era praticamente impossibile eseguire un’esperienza di tipo EPR, ma negli ultimi decenni del secolo scorso, grazie ai progressi tecnologici, è stato possibile farlo, e le esperienze effettuate hanno confermato l’effetto previsto dalla meccanica quantistica: quando due fotoni sono ‘entangled’ allora una misura su uno di essi, tale da costringerlo ad assumere casualmente un determinato stato tra due incompatibili, trova sempre la conferma nell’altro, cioè quest'ultimo decade nel medesimo stato, anche se si trova a considerevole distanza e anche se questa seconda misura viene effettuata in un intervallo di tempo successivo così breve da escludere qualunque scambio di informazione tra i due fotoni.

Tali esperimenti non risolvono però la questione principale: cioè sapere se i fotoni hanno  già prima della misura le condizioni per assumere la  medesima proprietà, in tal caso la meccanica quantistica sarebbe incompleta e i fenomeni fisici 'locali', o se acquisiscono questa proprietà casualmente e solo dopo che è stata fatta la misura (con il cosiddetto processo di ‘riduzione del pacchetto d’onda’), e in tal caso la meccanica quantistica sarebbe esatta e completa ma i processi fisici 'non locali'. 

I punti di svolta su tale questione sono stati la scoperta fatta da Bell di una disuguaglianza a cui devono soddisfare i fenomeni locali e l’acquisizione della consapevolezza che nel loro comportamento gli enti ‘entanglend’ della meccanica quantistica non soddisfano tale disuguaglianza e quindi effettivamente e in maniera sbalorditiva sono da considerarsi nel contempo come ‘legati’ e ‘telepatici’, e ciò indipendentemente dalla loro separazione spazio-temporale. Ma di questo parleremo nel prossimo post.

(continua)

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Note e crediti

(0) immagini da Wikipedia qui e qui

(1) Gian Carlo Ghirardi - Un'occhiata alle carte di Dio - il Saggiatore 2015 a pag. 161

 

 


1 commento:

  1. Il passaggio dalle mutazioni ai fotoni non è così facile per me, comunque cercherò di seguirla per imparare qualcosa, visto che dei fotoni so solo quello che dovevamo studiare come premessa alla struttura elettronica dell'atomo. Vediamo se i fotoni potranno servirmi a capire qualcos'altro, oltre agli spettri a righe e ai passaggi degli elettroni da un livello energetico ad un altro...
    Il linguaggio dei matematici e dei fisici è un linguaggio difficile, ci proietta diciamo in un mondo a capire qualcosa del quale i più, come me, non sono molto preparati.
    E' possibile essere semplici e divulgativi parlando di fisica teorica? La Sua è una bella sfida, molti Suoi colleghi l'hanno persa mi pare, Le auguro di farcela. DN

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