9 agosto 2025

Una esperienza contemplativa


Riporto un brano dell’americano Thomas Merton (1915-1968), monaco trappista e scrittore, che ho pubblicato già alcuni anni fa e che considero molto bello; in esso Merton parla di una esperienza contemplativa avvenuta in una notte d’estate durante il suo turno notturno di ronda nel suo monastero :

La Tua Realtà, o Dio, parla alla mia vita come a un amico intimo, in mezzo ad una folla di finzioni...

Signore, Dio, tutto il mondo questa notte sembra fatto di carta. Le cose più solide già stanno per sbriciolarsi o cadere a pezzi e volar via.
O Dio, Dio mio, la notte ha valori che il giorno non ha mai sognato. Tutte le cose di notte si agitano, sveglie o addormentate, conscie della prossimità della loro rovina. Solo l’uomo si crea dei lumi che vorrebbe solidi ed eterni. Ma mentre ci poniamo le nostre domande e veniamo alle nostre decisioni, Dio disperde le decisioni in un soffio, i tetti delle nostre case ci precipitano addosso, le torri superbe sono minate dalle formiche, i muri si fendono e cedono, e gli edifici più sacri si inceneriscono, mentre la sentinella sta formulando una teoria della durata.
Ora è tempo di alzarsi e di andare alla torre. E’ il momento di incontrarmi con Te, Dio, là dove la notte è meravigliosa, dove la foresta si apre sotto la luna, e le cose viventi cantano con voce terribile che solo il presente è eterno, e tutto ciò che ha un passato e un futuro è condannato a scomparire!
In quest’epoca di folle, in cui io ho scelto la solitudine, forse il peccato più grande per me sarebbe lamentarmi della presenza di uomini sulla soglia della mia solitudine. Posso essere così cieco da ignorare la solitudine in se stessa è il loro più grande bisogno? E tuttavia, se essi accorrono a migliaia nel deserto, come potranno essere soli? Che cosa sono venuti a vedere nel deserto? Io stesso che sono venuto a cercare qui, se non Te, o Cristo, che hai compassione delle turbe?
Tuttavia, la Tua compassione sceglie e isola colui sul quale la Tua misericordia si posa, e lo apparta dalle moltitudini anche se lo lasci in mezzo alle moltitudini…
E ora tutto il mio essere respira il vento che attraversa il campanile, e la mia mano è sulla porta, oltre la quale vedo il cielo. La porta si apre su un vasto mare di tenebra e di preghiera. Verrà, simile a questo, il momento della mia morte? Aprirai Tu una porta sulla grande foresta, e porrai i miei piedi su una scala sotto la luna, e mi condurrai fuori, fra le stelle?
Il tetto scintilla sotto di me, questo lungo tetto di metallo rivolto verso la foresta e le colline, dove io sono più alto delle cime degli alberi e cammino sull’aria rilucente.
Ora l’immenso coro delle creature viventi si alza dal mondo sotto i miei piedi: la vita canta nei corsi d’acqua, pulsa nelle gole tra i monti, nei campi e sugli alberi: cori di milioni e milioni di cose che saltano, volano e strisciano. E lontano, sopra di me, il cielo rinfrescato si schiude sulla gelida lontananza delle stelle.
Depongo l’orologio sul davanzale del campanile e prego, le gambe incrociate, la schiena contro la torre: ed eccomi di fronte alla stessa domanda senza risposta.
Signore Iddio di questa grande notte, li vedi Tu i boschi? Odi le voci del loro isolamento? Vedi la loro segretezza? Ricordi le loro solitudini? Vedi che la mia anima comincia a fondersi come cera dentro di me?
Non c’è foglia che non sia sotto la Tua cura. Non c’è grido che non sia udito da Te, prima ancora di venire emesso. Non c’è acqua tra i calcari che non sia stata nascosta là dalla Tua sapienza. Non c’è fonte segreta che non sgorghi da Te. Non c’è valletta per una casa solitaria che non sia stata concepita da Te per una casa solitaria. Non c’è uomo per quell’acro di bosco che non sia stato concepito da Te per quell’acro di bosco.
Ma c’è maggior ristoro nella sostanza di un silenzio che nella risposta ad una domanda. L’eternità è nel presente. L’eternità è nel palmo della mano. L’eternità è un seme di fuoco, le cui radici improvvise infrangono le barriere che impediscono al mio cuore di essere un abisso.
Le cose del Tempo sono in connivenza con l’eternità. Le ombre Ti servono. Le fiere cantano per Te prima di morire. Le colline ora salde si sfalderanno come un abito logoro. Le cose mutano, muoiono, scompaiono. Domande giungono, urgono e spariscono. In quest’ora smetterò di far domande, e il silenzio sarà la mia risposta. Il mondo che il Tuo amore ha creato, che il caldo ha deformato, e che la mia mente ha interpretato sempre male, cesserà di intercettare le nostre voci.
Menti divise fingono di fondersi le une nel linguaggio delle altre. Lo sposalizio delle anime nei concetti è quasi sempre un’illusione. I pensieri che escono ritornano con notizie di Te apprese dalle cose esterne: ma un dialogo con Te, proferito attraverso il mondo, finisce sempre con l’essere un dialogo col mio riflesso nella corrente del tempo...
La mano è aperta, il cuore è muto. L’anima che teneva assieme la mia sostanza, come una gemma dura nella cavità della mia forza, un giorno cederà completamente.
Benché io veda le stelle, non pretendo più di conoscerle. Benché abbia camminato per quei boschi, come posso asserire di amarli? Uno dopo l’altro dimenticherò i nomi delle singole cose.
Tu, che dormi nel mio petto, non Ti si può incontrare con le parole, ma nell’emergere della vita nella vita, della sapienza nella sapienza. Ti troviamo in comunione: Tu in me e io in Te, e Tu in loro ed essi in me: povertà nella povertà, equità nell’equità, vuoto nel vuoto, libertà nella libertà. Io sono solo. Tu sei solo. Il Padre e io siamo Uno.
E La voce di Dio si ode in Paradiso:
"Ciò che era vile è diventato prezioso. Ciò che ora è prezioso non fu mai vile. Io ho sempre conosciuto il vile come prezioso: poiché ciò che è vile non lo conosco affatto.
"Ciò che era crudele è diventato misericordioso. Ciò che ora è misericordioso non fu mai crudele. Io ho sempre protetto Giona con l’ombra della Mia misericordia, e la crudeltà non la conosco affatto. Mi hai visto, Giona figlio mio? Misericordia nella misericordia. Io ho perdonato l’universo immenso, perché non ho mai conosciuto il peccato.
"Ciò che era povero è diventato infinito. Ciò che è infinito non fu mai povero. Io ho sempre conosciuta la povertà come infinita: le ricchezze non le amo affatto. Prigioni entro prigioni entro prigioni. Non accumulate estasi sopra la terra, dove tempo e spazio si corrompono, dove i minuti assaltano e rubano. Non tenerti più stretto al tempo. Giona figlio Mio: i fiumi ti travolgeranno.
"Ciò che era fragile è diventato potente. Io ho amato ciò che più era fragile. Ho posato lo sguardo su ciò che non era nulla. Ho toccato ciò che era senza sostanza, e dentro ciò che non era, Io Sono"
.

Vi sono gocce di rugiada che brillano come zaffiri nell’erba, appena appare il grande sole, e le foglie fremono al tacito volo di una colomba in fuga.

(tratto dal capitolo finale de "Il Segno di Giona" (1953) Thomas Merton - Ed Garzanti 2001 )

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