Per quanto possa sembrare incredibile gli stati europei stanno trattando per limitare la loro libertà legislativa a favore delle multinazionali, libertà che dovrebbe essere invece a difesa dei diritti dei cittadini.
Un progetto simile era stato già negoziato segretamente dal 1995 al 1997 sotto la sigla ‘Mai’ dai ventinove stati membri dell’Ocse ma esso fallì perché, essendo stato divulgato dalla stampa, sollevò una elevata ondata di proteste.
Quindici anni più tardi, esso fa il suo ritorno sotto nuove sembianze.
Il tutto viene spiegato in un articolo che si trova in rete e che potete trovare e leggere qui. In questo post ne sintetizzo il contenuto...
L’accordo Transatlantico tra Usa e Unione Europea, detto ‘Ttip’, negoziato a partire dal luglio 2013 e che verrà concluso nel 2016 è una versione peggiorata del ‘Mai’. Esso prevede che le legislazioni in vigore nei paesi firmatari si pieghino alle regole del libero mercato tagliate a misura per le multinazionali , sotto pena per i paesi trasgressori o inadempienti di sanzioni o di multe di molti milioni di euro a favore dei ricorrenti.
Se dovesse entrare in vigore, i privilegi delle multinazionali avrebbero valore di legge e legherebbero completamente le mani dei governanti e dei loro elettori. Esso sarebbe praticamente non riformabile, perché le sue disposizioni potrebbero essere cambiate solo con il consenso unanime di tutti i paesi firmatari.
In pratica le multinazionali tra le altre cose potranno trascinare in giudizio uno stato per una legislazione di salvaguardia ambientale troppo rigorosa, o di diritto sul lavoro troppo vincolante, col motivo che questi causerebbero una perdita di profitti! Ciò riprodurrebbe in Europa lo spirito e le modalità del suo modello asiatico, l’Accordo di partenariato transpacifico ‘Tpp’, attualmente in corso di adozione in dodici paesi dopo essere stato fortemente promosso dagli ambienti d’affari.
Nei negoziati attuali vengono tenuti ben lontani i giornalisti e quindi le opinioni pubbliche dei paesi coinvolti sono tenute all’oscuro fino a quando evidentemente non verranno firmati i trattati e non si potrà fare molto per tornare indietro.
Questa segretezza si comprende facilmente. Non si può correre il rischio di annunciare anzitempo ai cittadini che dal vertice dello Stato fino ai consigli municipali, gli amministratori pubblici eletti dovranno ridefinire da cima a fondo le loro politiche per piegarsi al privato in quasi tutti i settori che riguardano la loro vita. Sicurezza alimentare, norme sulla tossicità, assistenza sanitaria, prezzo dei medicinali, libertà della rete, protezione della privacy, energia, cultura, diritti d’autore, risorse naturali, formazione professionale, strutture pubbliche, immigrazione: non c’è una sfera di interesse generale che non dovrà essere rivista e resa docile alla legge del libero scambio transnazionale.
I politici eletti, una volta che i trattati entreranno in vigore, si potranno solo limitare a negoziare con le multinazionali le briciole di libertà legislativa che questi vorranno concedere loro. È già stipulato che i paesi firmatari assicureranno la «messa in conformità delle loro leggi, dei loro regolamenti e delle loro procedure» con le disposizioni del trattato. Non vi è dubbio che gli stati vigileranno scrupolosamente per onorare tale impegno. In caso contrario infatti rischiano di finire davanti a uno dei tribunali appositamente creati per giudicare sulle liti tra investitori e Stati, e dotati del potere di emettere sanzioni commerciali e pecuniarie contro questi ultimi.
In pratica le multinazionali potranno denunciare un paese firmatario la cui politica avrebbe un effetto restrittivo sulla loro vitalità commerciale. Cioè le aziende sarebbero in grado di opporsi alle politiche sanitarie, di protezione dell’ambiente e di regolamentazione della finanza attivate nei diversi paesi firmatari reclamando danni e interessi davanti a tribunali extragiudiziali. Composte da tre avvocati d’affari, queste corti speciali rispondenti alle leggi della Banca mondiale e dell’Onu, sarebbero abilitate a condannare il contribuente a pesanti riparazioni qualora la sua legislazione riducesse i «futuri profitti sperati» di una società!
Non ci sono limiti alle pene che un tribunale può infliggere a uno Stato a beneficio di una multinazionale. Ad esempio un anno fa, l’Ecuador si è visto condannare a versare la somma record di 2 miliardi di euro a una compagnia petrolifera.
Il pericolo è anche sul fronte della privacy dei cittadini. Le multinazionali premono sui negoziatori del Trattato per togliere le leggi della privacy che impediscono ai flussi di dati personali di riversarsi liberamente dall’Europa verso gli Stati uniti.
Anche le norme sulla qualità nell’alimentazione sono prese di mira. Ad esempio l’industria statunitense della carne vuole ottenere la soppressione della regola europea che vieta i polli disinfettati al cloro.
Ma è nel settore della finanza che le proposte si fanno indecenti. Il quadro che si vuole delineare prevede di levare tutti i paletti in materia di investimenti a rischio e di impedire ai governi di controllare il volume, la natura e l’origine dei prodotti finanziari messi sul mercato. Insomma si vuole cancellare la parola ‘regolamentazione’.
Credo di ricordare che fu proprio la mancanza di regolamentazione e di controlli appropriati che generò nel 2008 la crisi dei ‘subprime’ di cui ancora stiamo pagando le conseguenze con la crisi economica globale attuale.
Il Trattato Ttip intende aprire alla concorrenza tutti i settori di interesse pubblico. Gli stati firmatari si vedranno costretti non soltanto a sottomettere i loro servizi pubblici alla logica del mercato, ma anche a rinunciare a qualunque intervento sui fornitori stranieri di servizi che ambiscono ai loro mercati. I margini politici di manovra in materia di sanità, energia, educazione, acqua e trasporti si ridurranno progressivamente.
Ma perché i negoziatori degli stati che dovrebbero difendere gli interessi dei loro cittadini sembrano voler accettare questo Trattato capestro? Semplice, a causa della crisi economica (che si è generata per mancanza di controlli e regolamentazioni serie negli investimenti speculativi della finanza, soprattutto negli Usa) i politici pensano che togliere i paletti agli investitori esteri possa portare ad una diminuzione della disoccupazione. A parte che ciò è tutto da dimostrare e non si sa il beneficio che ne deriverebbe da tale liberismo sfrenato, è incredibile come essi, i nostri politici europei, non si preoccupino più di tanto dei pericoli per la libertà e della ‘democrazia’, se questa parola ha ormai un senso, e del controllo sempre più stringente che il commercio a la finanza mondiali effettueranno sulle nostre vite!
Stiamo entrando nel tempo del governo unico mondiale di cui si impossessera' l'Anticristo.
RispondiEliminaHai appena descritto Babilonia la grande.
RispondiEliminahttp://terrarealtime2.blogspot.it/2015/04/expo-2015-ecco-la-moneta-del-diavolo.html?m=1
RispondiEliminaexpo 2015 e poi expo Astana la capitale degli illuminati NWM