21 ottobre 2021

Indizi di Intelligent Design? - la complessità tecnologica futuristica

Noi studiamo degli organismi, o almeno delle loro parti, come se fossero stati creati, come se fossero stati progettati, e poi cerchiamo di trovare le loro funzioni. Una mentalità finalistica – teleologica – è appropriata in biologia, per il semplice fatto che gli organismi sembrano essere stati costruiti, sembrano essere stati creati da un’intelligenza” (Michael Ruse - Darwin and Design - Does Evolution have a purpose? - Harward University Press 2003).

Continuo con un altro post sugli indizi di Intelligent Design, quelli precedenti sono consultabili Qui Qui Qui.

Come detto nei precedenti post, il naturalismo non accetta l’idea che negli esseri viventi ci sia un finalismo, cioè un disegno o una progettazione per uno scopo. Eppure molti indizi in biologia farebbero pensare al contrario. Questo si nota nella complessità strutturale e funzionale di certi organi, ma dal punto di vista della teoria dell’evoluzione non è nota nessuna pressione selettiva che potrebbe favorire l’origine di strutture più complesse di quanto sarebbe richiesto per la sopravvivenza. Esempi di questa complessità se ne potrebbero portare molti, qui ne elencherò alcuni nell’ambito della complessità che potremmo dire di 'tecnologia avanzata o futuristica'. La natura infatti è stata spesso fonte di ispirazione per il progresso tecnologico; gli scienziati nello studiare piante e animali si sono accorti di frequente dell’esistenza di soluzioni ingegneristiche avanzate che hanno poi utilizzato nei loro manufatti. Porto gli esempi delle ali delle farfalle con i LED, degli occhi con sistema di orientamento entangled-quantistico nel pettirosso, delle zampette dei gechi, della testa e della lingua del picchio.

1) Le farfalle con i Led

(Credit: foto di Garoch da Pixabay)

Quando furono costruiti i primi LED, che non sono altro che le spie luminose verdi o rosse che segnalano ad esempio se un computer è acceso, si capì da subito che essendo poco efficienti non potevano essere utilizzati per l’illuminazione, in quanto la luce rimaneva intrappolata in essi e non usciva. Un tipo più efficiente di LED è stato inventato nel 2001, da Erchak (del MIT) inserendoli in un cristallo fotonico a due dimensioni, consistente in una griglia di buchi sullo strato superiore del LED. Con questa struttura, chiamata ‘riflettore di Bragg’ si migliora di molto l’estrazione della luce. Ma probabilmente Erchak ignorava che in natura, questi riflettori di Bragg esistono già da almeno 30 milioni di anni. Infatti due studiosi della Exeter University, Pete Vukusic e Ian Hooper, hanno scoperto che una farfalla africana, la Princeps Nireus, ha sulle ali dei “riflettori di Bragg”. Le scaglie delle ali sono cristalli fotonici pigmentati e fluorescenti che emettono un intenso colore blu e verde-blu. Ciò avviene perché le ali assorbono luce ultravioletta dal sole e con un fenomeno di fluorescenza emettono a frequenza più bassa. Ma questa luce sarebbe troppo debole se non venisse potenziata dalla zona bucherellata dell’ala dove sono posti i pigmenti. I buchi, minuscoli cilindri vuoti, impediscono che la fluorescenza sia “intrappolata” nella struttura o emessa lateralmente.
Le scaglie della farfalla africana dispongono anche di una sorta di “specchio” nello strato inferiore, che riflette tutta la fluorescenza verso l’alto. Una copia esatta dei “riflettori di Bragg”

La diversità rispetto ai LED attuali, spiega Vukusic, “sta nel fatto che la farfalla non ha i diodi semiconduttori e non produce la sua propria energia radiante: il che in un certo senso la rende doppiamente efficiente. Ma il sistema che ‘estrae’ la luce dalle ali del Princeps Nireus non è solo un’analogia; è lo stesso identico design del LED”. (2)

2) Gli occhi con sistema di orientamento quantistico nel pettirosso


L'entanglement è
un sorprendente effetto quantistico che in fisica ha messo in crisi il concetto di separazione spaziale tra oggetti e quello dell'azione a distanza. In pratica due oggetti gemelli (ad esempio due elettroni o due fotoni) che vengono creati in uno stesso punto in due stati complementari in senso quantistico, ad esempio spin su/spin giù, pur allontanati anche a distanze considerevoli l'uno dall'altro, mantengono un legame, per cui un'acquisizione di uno dei due stati quantistici causato in uno di essi (ad esempio facendogli acquistare lo stato spin giù) si ripercuote istantaneamente sull'altro facendo assumere al gemello lo stato complementare (nell'esempio lo spin su).

Nei laboratori di fisica che studiano questo fenomeno si riesce a mantenere lo stato entangled tra due particelle (che a causa delle influenze ambientali può andare distrutto) solo per un tempo molto breve,  a temperatura ambiente  per 80 microsecondi. Ebbene è stato scoperto che invece gli occhi dei pettirossi riescono a generare uno stato entangled di almeno 100 microsecondi.  Ecco cosa dice il fisico Klaus Schulten  che ha scoperto il fenomeno:

"la ricerca ha rivelato l’esistenza di speciali cellule ottiche contenenti una proteina chiamata criptocromo. Quando un fotone entra nell’occhio, colpisce il criptocromo, dando una spinta di energia agli elettroni che esistono in uno stato di entanglement quantistico. Uno degli elettroni migra a pochi nanometri di distanza, dove percepisce un campo geomagnetico leggermente diverso rispetto al suo partner. A seconda di come il campo magnetico altera lo spin dell’elettrone, vengono prodotte diverse reazioni chimiche. In teoria, i prodotti di molte di queste reazioni attraverso l’occhio di un uccello possono creare un’immagine del campo magnetico terrestre come un modello variabile di luce e buio".
Un altro fisico, Simon Benjamin dell’Università di Oxford, col suo team che ha studiato l'entanglement usando una particolare molecola confinata in una gabbia geometrica di carbonio con un atomo di azoto all’interno, ma può però farlo solo per 80 microsecondi, ha  concluso

"Come può un sistema vivente essersi evoluto per mantenere anche uno stato quantistico meglio di quanto possiamo fare in laboratorio? (già, come può? - nota mia.) Il pettirosso, comunque funzioni, qualunque cosa ci sia dentro, in qualche modo sta andando meglio della nostra molecola molto bella appositamente progettata. È semplicemente sbalorditivo". (3)

3) Le dita del Geco

(Credit: foto di Rudy and Peter Skitterians da Pixabay)

Un altro esempio di apparato ‘tecnologico’ molto sofisticato è costituito dalle dita del Geco, quella specie di ‘coccodrillo’ in miniatura che si arrampica nei muri delle nostre case cibandosi di insetti. Gli scienziati di ogni tempo, già a partire da Aristotele, si sono sempre chiesti come faccia a rimanere attaccato a qualunque tipo di parete, anche a testa in giù, senza cadere. Si pensava che fosse dotato di potenti piccole ventose, ma non è così.

Quello che si è scoperto negli ultimi venti anni è sorprendente. Innanzitutto la sua presa riesce a sopportare forze di trazione fino a 2 kg, quindi ben oltre il suo peso, e questo gli permette di restare attaccato anche con una sola zampa. Inoltre osservandola al microscopio si scopre che questa è coperta di minuscole setole, e l’estremità di ognuno di queste si suddivide ulteriormente in nanopeli più piccoli, dello spessore di 0,2 micron, contro i 10 del capello umano, quindi 50 volte più sottili, e ciò in modo da creare una superficie specifica di contatto incredibilmente grande: in tal modo il polpastrello del Geco riesce a conformarsi completamente anche alle più piccole irregolarità di qualsiasi superficie tocchi aderendo con forze di attrazione elettrica a livello molecolare, le cosiddette forze di Van der Waals. Inoltre la densità di questi peli è molto elevata, ce ne sono ben 14.100 ogni millimetro quadrato, per cui in ogni zampetta ce ne sono all’incirca mezzo milione. Inoltre si è anche scoperto che le zampette si autopuliscono in modo da rendere il sistema di adesione privo di polvere e perciò sempre efficiente.

Grazie a queste qualità i gechi possono aderire a qualunque tipo di materiale, al vetro come ad altre superfici lisce a livello molecolare, su sostanze idrofile e idrofobe, anche nel vuoto o sott’acqua.

Non funzionando quindi con ventose, che necessitano della pressione atmosferica, sembrano adatte per la ‘presa’ anche in assenza di atmosfera. Per questo la NASA si è interessata in questi anni alla loro tecnologia per creare dispositivi che si possono agganciare e sostenere pesi nelle superfici che devono restare in contatto nel vuoto. Negli ultimi anni ha testato con successo nella Stazione Spaziale Internazionale dei dispositivi basati su questa tecnologia. Gareth Merion, che gestisce il gruppo ‘Robotic Climbers and Grippers’ del Jet Propulsion Laboratory della Nasa sostiene che gli ingegneri non possono considerarsi appieno gli inventori di questa sofisticata tecnologia, anzi ha detto: “Se la natura non l’avesse inventata, non penso che nessun altro avrebbe mai potuto pensarci” (4).

Ecco degli esempi di ‘pinze’ ispirate alla tecnologia delle zampe dei Gechi: 

Il Gecko Adesive Gripper

L’immagine mostra un gripper che sostiene un blocco per gli appunti ad un pannello simile a quelli presenti all’interno del segmento statunitense dell’ISS

(Credit: foto NASA/JPL-Caltech)

e il Gecko Gripper della società OnRobot:

(Credit: foto OnRobot)

4) Il Picchio


(
Credit: foto di Carola68 Die Welt ist bunt...... da Pixabay)

 a) la testa 

Ed ecco il picchio. Dà dalle 15 alle 20 beccate al secondo con una forza incredibile. Per forare rapidamente il legno il picchio percuote infatti il tronco con una velocità di impatto di 6-7 metri al secondo, raggiungendo forze di decelerazione enormi - anche di 1000 g - senza subire alcuna lesione al cranio, al cervello o agli occhi. Per confronto il limite di tolleranza all’accelerazione dell’uomo si aggira attorno ai 5 g, superati i quali in assenza di misure di protezione, sviene (g è l'accelerazione di gravità pari a 9,8 m/s^2). E fra l’altro il numero dei colpi che dà in un giorno si aggira intorno a 20.000. Ma com’è fatto allora il cranio del picchio per poter resistere a questi ripetute beccate senza soffrirne minimamente?

E’ stato fatto un confronto tra i teschi dei picchi e quelli di altri uccelli e si è scoperto che i primi possiedono diversa densità e composizione chimica. Il picchio accumula minerali nelle ossa della sua testa e ciò la rende più rigida anche se sottile. Inoltre anche la lingua, che fa il giro del cranio, contribuisce all’ammortizzazione. Essa è avvolta tra l’altro ad un osso composto da un materiale rigido interno attorniato da quello esterno spugnoso: il contrario di quello che avviene nelle ossa di tutti gli altri animali. Questa inversione a quanto pare permette alla lingua di assorbire meglio i colpi e fare da ammortizzatore.

Inoltre i picchi hanno meno liquido che separa il cervello dalla scatola cranica; ciò permette al cervello di non avere spostamenti bruschi. Questo effetto viene chiamato “a uovo sodo” infatti se se si agita un uovo sodo non si possono provocare i ‘danni’ che si ottengono scuotendo invece un uovo crudo.

I ricercatori ritengono che i dati ottenuti nello studio della testa del picchio serviranno sia a ottimizzare le prestazioni dei caschi di protezione per l’uomo, sia degli involucri per strutture delle apparecchiature elettroniche.

 b) la lingua 


(credit :foto Jimfbleak, CC BY-SA 3.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0>, via Wikimedia Commons )

La lingua del picchio è lunga circa 15 cm e in posizione di riposo, essa non può essere contenuta nella bocca e quindi è avvolta lungo il cranio, sistemata in un apposito canale che gira attorno al capo e al collo, come si vede in figura. Essa parte dal becco, va all’indietro, gira attorno la testa e torna al becco dalla parte opposta. Oltre a servire da ammortizzatore durante i colpi serve anche per essere infilata dentro i buchi fatti nei tronchi per scovare larve e insetti. Essa può essere considerata un ulteriore esempio di complessità irriducibile. Visto che la teoria dell’evoluzione asserisce che le strutture si sono formate gradualmente, ci si chiede come sia stato possibile a questo apparato linguale ad evolvere per passi successivi: quando la lingua infatti era ripiegata all’indietro e non aveva ancora raggiunto la lunghezza necessaria come avrebbe fatto il picchio a mangiare? E’ ovvio che bisogna supporre che tutto il meccanismo sia spuntato completo.

(continua  nella 5^ parte)

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Note e crediti

(0) foto iniziale da Pixabay

(1) Michael Ruse – Darwin and Design. Does Evolution have a purpose? - Harward University Press 2003

(2) http://news.bbc.co.uk/2/hi/science/nature/4443854.stm

(3) https://www.reccom.org/entanglement-quantistico-pettirosso/

(4) https://www.astronautinews.it/2020/03/la-nasa-si-ispira-alle-dita-dei-gechi/

(5) foto di Garoch da Pixabay

(6) foto © Peter Vukusic/Università di Exeter

(7) foto di Rudy and Peter Skitterians da Pixabay

(8) foto NASA/JPL-Caltech

(9) foto Credits: OnRobot

(10) foto di Carola68 Die Welt ist bunt...... da Pixabay

(11) foto Jimfbleak, CC BY-SA 3.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0>, via Wikimedia Commons

 

 

 

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